Mobbing

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Con il termine mobbing, (dall'inglese [to] mob «assalire, molestare»; quindi «molestia, angheria»)[1] in psicologia e nell'accezione comune del termine, si indica una forma di abuso ovvero un insieme di comportamenti aggressivi di natura psicofisica e/o verbale, esercitati da una persona o da un gruppo di persone nei confronti di uno o piu' soggetti.

Sebbene il termine venga utilizzato soprattutto per riferirsi a situazioni nel mondo del lavoro, più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge a un suo membro. In riferimento al mondo del lavoro simili attività possono anche essere messe in atto da persone che abbiano una certa autorità sulle altre, in tal caso si parla di bossing. In etologia, il termine identifica i comportamenti aggressivi assunti da talune prede nei confronti di un predatore per intimorirlo e dissuaderlo dall'attacco.

Origine ed etimologia del termine

Lo stesso argomento in dettaglio: Mobster.

Il termine venne coniato agli inizi degli anni settanta del XX secolo dall'etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento aggressivo tra individui della stessa specie, con l'obiettivo di escludere un membro del gruppo. In etologia, particolarmente in ornitologia, mobbing indica anche il comportamento di gruppi di uccelli di piccola taglia nell'atto di respingere un rapace loro predatore. È stato utilizzato in diversi contesti e con diversi significati; infatti nel 1972 il medico svedese Paul Heinemann utilizzò il termine, come sinonimo di bullismo, in una ricerca sull'aggressione di singoli bambini da parte di gruppi di coetanei. Negli anni '80 lo psicologo svedese Heinz Leymann, definì il mobbing nell'accezione attuale: “una comunicazione ostile, non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo individuo.”[2]

Dal punto di vista linguistico-grammaticale mobbing è un gerundio sostantivato inglese derivato da "mob" (coniato nel 1688, secondo il dizionario Merriam-Webster), dall'espressione latina "mobile vulgus", che significa "gentaglia (mobile)", cioè "una folla grande e disordinata", soprattutto "dedita al vandalismo e alle sommosse". Da qui il termine assunse, presso le classi sociali più elevate, anche una connotazione spregiativa, per cui "mob" era, anche in assenza di azioni violente, equivalente pressappoco all'italiano "plebaglia".

A mobbing è correlato anche il lemma - di uso nello slang statunitense - mobster, che indica genericamente chi appartenga alla malavita o abbia un comportamento malavitoso. In italiano è inoltre derivato il verbo "mobbizzare", col significato di "compiere azioni di mobbing", e a esso sono collegati i termini "mobbizzatore" (o "mobber"), per indicare colui che perpetra l'attacco, "mobbizzato" (o "mobbed") per indicare la vittima[3], e "mobbizzazione", sinonimo di mobbing. Nei paesi anglofoni, per indicare la violenza psicologica sul posto di lavoro, che in Italia, abbiamo visto, è l'accezione più comune di mobbing, si utilizzano lemmi più specifici: harassment (utilizzato anche per molestie domestiche), abuse (maltrattamento), intimidation (intimidazione), workplace bullying (bullismo sul lavoro).

Descrizione

I comportamenti e le azioni possono sfociare in vera e propria violenza e aggressione fisica, perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. Esempi tipici potrebbero essere angherie, vessazioni, demansionamento lavorativo, emarginazione, umiliazioni, insulti, maldicenze, aggressioni fisiche e verbali, ostracizzazione. A questi vanno aggiunte anche situazioni suscettibili di creare imbarazzo. Essere ripetutamente e volutamente messi in tali situazioni potrebbe creare stati psicologici simili a quelli dovuti ad aggressione, favorendo degli atteggiamenti di colpevolizzazione della vittima.

I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) possono tuttavia non raggiungere necessariamente la soglia di reato, né eventualmente essere di per sé illegittimi, ma nell'insieme suscettibili di produrre danni (essenzialmente a livello biologico ed esistenziale), con gravi conseguenze quindi sulla salute della vittima, sulla sua esistenza, e anche sul patrimonio, convincendola di cose non veritiere inerenti alla propria persona. Possiamo suddividere atti di mobbing a seconda del contesto in cui si verifichino: sul posto di lavoro, in famiglia, a scuola e nella società.

Nei vari contesti

Forme di mobbing, non sempre però rilevanti dal punto di vista giuridico, sono distinguibili in vari contesti, ad esempio nella scuola (in tal caso viene definito bullismo), all'interno delle forze armate (nonnismo) o nel mondo del lavoro, ma anche in varie tipologie di aggregazione sociale non legate a professioni o ambiti lavorativi, come tra amici, gruppi o bande giovanili, circoli sportivi, associazioni ricreative.

Di solito lo scopo è quello di indurre un membro non gradito all'autoallontanamento spontaneo dal gruppo o associazione, attraverso tutta una serie di pressioni e vessazioni di tipo morale o psicologico. Una tipologia di mobbing verticale o mobbing dall'alto è riscontrabile quando a mettere in atto tali attività sono individui che abbiano alle dipendenze, o che esercitino una autorità in un determinato contesto, su altre persone; in tal caso si parla di bossing.

La materia in questione interessa soprattutto l'analisi psicologica (psicologia dei gruppi) e sociologica (sociologia delle relazioni interpersonali) che non quella giuridica.[senza fonte]

Nella famiglia

Questa pratica è condotta all'interno delle dinamiche relazionali coniugali e familiari ed è finalizzata alla delegittimazione di uno dei coniugi e alla estromissione di questo dai processi decisionali riguardanti la famiglia in genere e nello specifico i figli.[4]

Il mobbing familiare più frequente è quello che coinvolge le famiglie separate e viene messo in pratica da parte del genitore affidatario nei confronti di quello non affidatario al fine di spezzare il legame genitoriale nei confronti dei figli, nei casi più gravi il fenomeno può portare la vittima a compiere un gesto suicida. Vari studi e ricerche hanno evidenziato come questo particolare tipo di mobbing sia più frequente nelle relazioni coniugali contraddistinte da una intensa conflittualità.[senza fonte]

In alcuni casi, il mobbing familiare si presenta attraverso una serie di strategie "persecutorie" preordinate da parte di uno dei coniugi nei confronti dell'altro coniuge, allo scopo di costringere quest'ultimo a lasciare la casa coniugale o ad acconsentire, ad esempio, a una separazione consensuale, pur di chiudere rapporti coniugali fortemente conflittuali[5].

Dal mobbing familiare si distingue il "mobbing genitoriale", fenomeno oggetto di diversi studi e tesi di laurea (per tutti, vedasi ad es. "Una nuova epidemia sociale: la conflittualità nelle separazioni coniugali tra mobbing genitoriale e PAS" di F. Troiano[6]) termine da riservarsi alle contese in corso di separazione coniugale in cui vi siano comportamenti finalizzati a escludere l'altro genitore dall'esercizio della propria genitorialità. Il cosiddetto "mobbing genitoriale" sarebbe riconducibile a quattro casi (spesso erroneamente citati come casi di mobbing familiare):[7]

  • sabotaggi delle frequentazioni della prole;
  • emarginazione dai processi decisionali tipici dei genitori;
  • minacce;
  • denigrazione e delegittimazione familiare e sociale.

Secondo lo psicologo del lavoro Harald Ege, il concetto di mobbing familiare non sarebbe scientificamente attendibile.[8] Lo stesso Ege concorda con le affermazioni di Konrad:

«Il termine mobbing è mutuato dall'etologia: Konrad Lorenz infatti lo utilizzò per indicare una reazione collettiva verso un predatore da parte di potenze di prede, che con l'assalto organizzato di gruppo lo confondono e ne elidono l'attacco, ma anche, successivamente, per indicare i comportamenti aggressivi di un gruppo di animali nei confronti di un singolo inter o intraspecifico.[9]»

Secondo Gaetano Giordano come il "mobbing animale" è un comportamento rivolto esclusivamente alla tutela della prole o dei nascituri, e - soprattutto - che si verifica esclusivamente in presenza di uova fecondate o di prole[10] In definitiva, secondo questi autori questa tipologia di "mobbing" - contrariamente a quanto sostiene Ege - emerge come fenomeno (e come osservazione) negli animali, è un comportamento animale destinato alla tutela della prole, e solo per un successivo utilizzo - desunto dagli studi etologici - viene descritto come fenomeno che si manifesta nel lavoro e nelle relazioni sociali umane.

Nelle forze armate

Lo stesso argomento in dettaglio: Nonnismo.

Nelle forze armate si manifesta sovente nel nonnismo, termine che si riferisce alla maggiore età dei militari che commettano tali atti su vittime più giovani, generalmente reclute.

Nel lavoro

Lo stesso argomento in dettaglio: Bossing.

Il primo a parlare di mobbing quale condizione di persecuzione psicologica nell'ambiente di lavoro è stato alla fine degli anni ottanta del XX secolo dallo psicologo svedese Heinz Leymann che lo definiva come una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo, progressivamente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e/o di difesa. In Italia la tematica è stata introdotta dallo psicologo tedesco Harald Ege, che per primo nel 2002 ha pubblicato un metodo per il riconoscimento del danno da mobbing e del fenomeno stesso tramite il riconoscimento di 7 parametri (il cosiddetto metodo Ege).

Per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psicofisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (come ad esempio disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico. Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento, che potrebbe causare imbarazzo o problemi di vario tipo al datore di lavoro, o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (come una denuncia ai superiori o all'esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste per essa immorali, illegali o ricatti di varia natura. Va peraltro sottolineato che l'attività mobbizzante può anche non essere di per sé illecita o illegittima o immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la contestualizzazione e la reiterazione dei singoli episodi che nel loro insieme tendono a produrre il danno nel tempo. In effetti, l'ingiustizia del danno, vale a dire dell'evento lesivo non previsto né giustificato da alcuna norma dell'ordinamento giuridico, deve essere sempre ricercata valutando unitariamente e complessivamente i diversi atti, intesi nel senso di comportamenti e/o provvedimenti.

Si distingue, nella prassi, fra mobbing gerarchico o verticale e mobbing ambientale o orizzontale; nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima a isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell'usuale dialogo e del rispetto.

Si parla di bossing quando l'attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad esempio perché ritenuto antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, alle attività possono partecipare anche a i colleghi (side mobbing), che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per "quieto vivere". Si suole definire mobbing tra pari quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell'organizzazione lavorativa per motivi d'incompatibilità ambientale o caratteriale, come per i diversi interessi sportivi, per motivi etnici o religiosi oppure perché diversamente abile, oppure il mobbing dal basso; generalmente la causa scatenante del mobbing orizzontale non sono tanto le incompatibilità all'interno dell'ambiente di lavoro quanto una reazione da parte di una maggioranza del gruppo allo stress dell'ambiente e delle attività lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come "capro espiatorio" su cui far ricadere la colpa della disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti.[11] Il mobbing strategico si ha quando l'attività vessatoria e dequalificante tende a espellere il lavoratore, per far posto a un altro lavoratore (di solito in posizioni di dirigenza o apicali).

Atti di bossing possono rientrare nell'ambito di strategie compiute dalla direzione o dall'amministrazione del personale dell'ente presso il quale si lavori, finalizzate alla riduzione o razionalizzazione del personale, oppure alla semplice eliminazione di persone indesiderata. Viene messo in atto con il preciso scopo di indurre il dipendente alle dimissioni, e può attuarsi in modalità differenti ma con lo scopo comune di creare un clima di tensione intollerabile per le vittime.

In ogni caso, il mobbing/bossing è riferibile a un complesso, sistematico e duraturo comportamento del datore di lavoro e/o di uno o più colleghi, che deve essere esaminato in tutti i suoi aspetti e nelle loro conseguenze, per creare un coacervo di stimoli lesivi che non può né deve essere frazionato o spezzettato in tanti singoli episodi, ciascuno dei quali aventi un proprio effetto sanitario ovvero giuridico. Anche perché si è soliti ammantare con solide motivazioni anche gli atti peggiori, sì da dare a essi una parvenza di legittimità.[12] Gli anzidetti concetti sono importanti per la dimostrazione giudiziale del mobbing.

La pratica del mobbing sul posto di lavoro si esplica mediante la vessazione sistematica di un lavoratore dipendente o di un collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti, dequalificanti o con scarsa autonomia decisionale) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato e in pubblico anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati; interrompere il flusso di informazioni necessario per l'attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull'accesso a Internet); continue visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra). Può anche accadere che l'impulso di aggressione a un lavoratore venga dall'alto e sia finalizzato alle dimissioni di qualcuno. In questo caso i colleghi che effettuano il mobbing eseguono servilmente le disposizioni del superiore anche se il collega mobbizzato non ha fatto niente di male a loro. Tutte queste situazioni e in genere gli attacchi verbali non sono facilmente traducibili in "prove certe" da utilizzare in un eventuale processo per cui è anche difficile dimostrare la situazione di aggressione.

Viene quindi attuato un sistematico processo di "cancellazione" del lavoratore condotto con la progressiva preclusione di mezzi e relazioni interpersonali indispensabili allo svolgimento di una normale attività lavorativa. Altri elementi che fanno configurare il mobbing, possono essere "doppi sensi" o sottigliezze verbali quando si è in presenza del collega oggetto di mobbing, cambio di tono nel parlare quando un superiore si rivolge al collega vittima, assegnare incarichi di lavoro impossibili da portare a termine per motivi oggettivi o da eseguire in fretta l'ultimo giorno utile.

Le conseguenze del mobbing oltre a essere dannose per chi le subisce, possono nuocere anche a coloro che mettono in atto tali attività, e anche direttamente alle aziende stesse. La Warnaco Group, partner di Calvin Klein, sotto la guida dell'ex amministratore Linda Wachner ha avuto il più alto tasso di turn over del settore e ha perso in un lustro molti dirigenti validi.[13] Le offese e i comportamenti discriminatori verso i sottoposti possono costare cari alle aziende, anche in termini di esborsi diretti: ad esempio, nel 2001 una società britannica, la Mercury Mobile Communications Services, ha dovuto stanziare un risarcimento di 370.000 sterline a favore di un dipendente vessato da un manager. Di là, comunque, dai singoli casi, il volume cita una ricca letteratura scientifica che dimostra come il livello di produttività nelle organizzazioni sia direttamente proporzionale alla soddisfazione vissuta dai lavoratori nell'ambiente di lavoro, e inversamente proporzionale a un clima intimidatorio o punitivo.

È quindi chiaro che il mobbing non è una malattia ma rappresenta il termine per indicare la complessiva attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro (pubblico o privato, da solo o in combutta) per isolarlo e obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni. Le azioni rientranti nella categoria della costrittività organizzativa coinvolgono direttamente e in modo esplicito l'organizzazione del lavoro e la posizione lavorativa e possono assumere diverso rilievo ai fini del riconoscimento della natura professionale del danno conseguente.[14]

Nella scuola

Lo stesso argomento in dettaglio: Bullismo.

Il mobbing a scuola spesso assume la forma di “vessazione di branco” che spesso si confonde con il bullismo ovvero con una sorta di bullismo di gruppo organizzato ai danni di un compagno di classe. Esiste anche in ambiente scolastico, benché più denunciato sui media che studiato e analizzato, una forma particolare di "mobbing dall'alto", ossia praticato da un insegnante a danno di uno o più allievi, attraverso: espressioni sistematicamente denigratorie e/o provvedimenti disciplinari persecutori, valutazioni o giudizi ingiustificatamente negativi.

Fenomeno in aumento, anche se poco conosciuto e ancora meno studiato, il mobbing di studenti più o meno organizzati nei confronti di insegnanti ritenuti deboli e non in grado di mantenere la disciplina in classe, mobbing che tende a voler nascondere le proprie mancate responsabilità nei confronti dello studio, della disciplina e del rispetto delle regole.

Possibili conseguenze sulla salute

La patologia psichiatrica più frequentemente associata è il disturbo dell'adattamento; esso si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva reattiva all'evento stressogeno. Fra le conseguenze ci possono essere il disturbo post traumatico da stress, che può associarsi a perdita d'autostima, ansia, esaurimento nervoso, depressione, insonnia, nevrosi, isolamento sociale, attacchi di panico, ma anche causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite e dermatite.[15]

La cura cognitivo comportamentale è quella più effettiva in questi casi anche se non è da disdegnare la psicoterapia di stampo freudiano, più tradizionale, soprattutto per i casi gravi in cui la personalità sia stata gravemente danneggiata.

Nel mondo

Studi e statistiche

Nei primi anni novanta del XX secolo, lo psicologo svedese Heinz Leymann tenne in Italia una serie di conferenze che diedero inizio al dibattito nazionale sul mobbing, con una decina d'anni di ritardo rispetto a Svezia e Germania. Leymann estese il dibattito sul mobbing dapprima in Germania e poi nel resto degli stati membri dell'Unione europea.

Secondo un'indagine del 1998, il 16% dei lavoratori inglesi denuncia di essere vittima di mobbing; l'Italia è ultima nella classifica UE con un 4,2%. Alcuni contratti sindacali, come quello dei metalmeccanici in Germania, prevedono un risarcimento di circa 250.000 euro per i lavoratori mobbizzati.[senza fonte]

Si stima che in Italia il numero di vittime del mobbing sia intorno a 1 milione e 200 mila, che salgono a 5 milioni se si considerano anche le famiglie. In Svezia e Germania circa mezzo milione di persone hanno dovuto ricorrere al prepensionamento o a cliniche psichiatriche a causa del mobbing. Negli ultimi anni i casi di mobbing denunciati hanno avuto un incremento esponenziale.Il mobbing ha un forte costo sociale stimato il 190% superiore al salario annuo lordo di un dipendente non mobbizzato. In Svezia si stima che il mobbing sia causa del 20% dei suicidi.[senza fonte] Secondo l'INAIL, che per prima in Italia ha fornito una definizione di mobbing lavorativo, qualificandolo come costrittività organizzativa, le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dall'attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psicofisici, l'impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie, la inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro, l'esclusione reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato ed eccessivo.[16]

La tutela giuridica

Unione Europea

Un libro verde del Parlamento Europeo, "Il mobbing sul posto di lavoro", del 16 luglio 2001, introduceva il dibattito in tema di mobbing in sede comunitaria.

La successiva risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro —2001/2339(INI)— è uno dei primi riferimenti normativi in materia, non recepito nell'ordinamento italiano. La risoluzione non è stata seguita da una direttiva europea, che obbligasse gli Stati membri a legiferare in tema di mobbing.

Germania

Sono diffusi sul territorio centri d'ascolto a cui rivolgersi in caso di molestie morali nelle aziende di maggiori dimensioni. Sempre in Germania è previsto il prepensionamento a carico dell'azienda per i dipendenti riconosciuti vittime di mobbing.[senza fonte]

Italia

Non esiste una legislazione specifica in materia di mobbing e quindi il fenomeno non è configurato come fattispecie tipica di reato a sé stante, come ad esempio lo stalking. Gli atti di mobbing possono però rientrare in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale, quali le lesioni personali gravi o gravissime, anche colpose che sono perseguibili di ufficio e si ritengono di fatto sussistenti nel caso di riconoscimento dell'origine professionale della malattia. La legge italiana disciplina anche il risarcimento del danno biologico, associabile a situazioni di mobbing. La giurisprudenza dispone più frequentemente e facilmente il risarcimento del danno biologico, ma non del danno morale; il mobbing deve aver procurato al lavoratore una delle malattie documentate in letteratura medica per avere diritto a un'indennità dall'azienda, anche se ci sono tutele contro il trasferimento e il licenziamento dei lavoratori.[17]

La Costituzione della Repubblica Italiana tutela la persona in tutte le sue fasi esistenziali, da quella di cittadino a quella di lavoratore. Inoltre, sul datore di lavoro grava l'obbligo contrattuale, derivante dall'art. 2087 c.c., di tutelare la salute e la personalità morale del dipendente. La Corte di Cassazione ha ritenuto che un'iniziativa diretta alla repressione, non già alla prevenzione dei fatti mobbizzanti non è idonea a costituire adempimento agli obblighi previsti dall'art. 2087 del codice civile italiano.[18] A ogni modo diversi comportamenti che caratterizzano il mobbing rientrano in fattispecie contemplate da vai articoli del codice penale italiano (abuso d'ufficio, percosse, lesione personale volontarie, ingiuria, diffamazione, minaccia, molestie)

Presso il Parlamento italiano sono depositati diversi disegni di legge specifici sul tema; manca invece un orientamento comunitario in tema di mobbing.[senza fonte] Un primo disegno di legge del 21 marzo 2002, presentato da senatori di Rifondazione Comunista, è stato ripreso da una commissione tecnico-scientifica nominata dal Ministero della Funzione Pubblica durante il secondo governo Berlusconi. La commissione aveva l'incarico di accertare le cause di improduttività del personale nella pubblica amministrazione italiana ed era giunta a definire un protocollo medico oggettivo del quale il giudice del lavoro poteva avvalersi per accertare le cause di mobbing, ma il testo mai fu tradotto in norma. Il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro pur non occupandosi esplicitamente del fenomeno, ha previsto, presso Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali l'istituzione della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro[19][20] prevedendo tra le sue competenze l'elaborazione delle indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato. Il testo unico ha inoltre disposto che, a fare data dal 1º agosto 2010:[21]

«La valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all'articolo 6, comma 8, lettera m-quater, e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione,[...]»

Dal punto di vista della giurisprudenza invece, la sentenza del tribunale di Pisa del 10 gennaio 2002[22] ha stabilito la non computabilità nella durata della malattia delle assenze riconducibili alla violazione dell'obbligo aziendale di non aggravamento del compromesso stato di salute del dipendente. Una successiva sentenza della Corte di Cassazione del 21 gennaio 2002 ha richiamato gli articoli del codice civile per i quali è obbligo del datore garantire un contesto lavorativo che non determini inidoneità fisiche e psichiche dei dipendenti, e non aggravi condizioni presenti o sopraggiunte per cause indipendenti dal contesto lavorativo.[23] La Corte in un successivo orientemnento del 2005 statuì che quando la situazione patologica è indotta dal datore di lavoro non vi è superamento del periodo di comporto.[24][25]

La non computabilità nella durata del periodo di malattia può essere interpretata come estensione de facto del limite dei tre mesi, oltre il quale i CCNL legittimano il licenziamento, oppure in un completo onere a carico del datore di lavoro, che deve corrispondere il 100% della retribuzione per i periodi di assenza non coperti dall'indennità di malattia. Nel primo caso, quota superiore al 50% della retribuzione è a carico dell'ente previdenziale, come previsto per le assenze prolungate. L'INPS può, in generale, però esercitare diritto di rivalsa su chi ha determinato la malattia/invalidità e il pagamento della relativa indennità, come chi causa un incidente stradale, o, nel caso in esame, il datore di lavoro. L'accertamento del danno da mobbing esige «una valutazione unitaria degli episodi denunciati dal lavoratore, i quali raggiungono la soglia del mobbing ove assumano le caratteristiche di una persecuzione, per la loro sistematicità e la durata dell'azione nel tempo.[26] Secondo la Corte di Cassazione il demansionamento è vietato perché costituisce sempre lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, tutelato dagli artt. 1 e 2 della Costituzione; il danno che ne deriva è suscettibile di per sé, di risarcimento.[27] L'esistenza della lesione del bene protetto e delle conseguenze deve essere valutata nel complesso degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l'idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa.[28] Riguardo alla condotta, la Corte di Cassazione ha statuito che per mobbing si intende un comportamento del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematico e protratto nel tempo, tenuto nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione e di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità. La prova di tale condotta involge un giudizio di merito non censurabile in sede di legittimità.[29]

Secondo la sentenza n. 359 del 19 dicembre 2003 della Corte Costituzionale gli atti posti in essere possono risultare "se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico", assumendo, purtuttavia, "rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall'effetto" e risolvendosi, normalmente, in «disturbi di vario tipo e, a volte, patologie psicotiche, complessivamente indicati come sindrome da stress postraumatico.»[30]

Il Ministero dell'Interno nel 2012 è stato condannato sia in I sia in II grado per le violazioni dell'art. 2087 del codice civile italiano che hanno determinato mobbing, gravi malattie e la morte del lavoratore vittima.[31] La sentenza della Suprema Corte di Cassazione 15 maggio 2015 n. 10037 ha inoltre individuato delle "linee guida", secondo cui è necessaria la presenza di sette elementi - che devono però ricorrere all'unisono - in presenza dei quali si possa parlare di mobbing, ovvero:[32]

  1. vessazioni sul luogo di lavoro;
  2. contrasti, le mortificazioni o quant'altro devono durare per un congruo periodo di tempo;
  3. la reiterazioni e la molteplicità degli atti;
  4. attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze o minacce;
  5. dislivello tra gli antagonisti, con l'inferiorità manifesta del ricorrente;
  6. conseguenze sulla salute in modo da determinare esclusione dal mondo del lavoro, in modo da determinare sintomi psicosomatici, errori e abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro;
  7. intento persecutorio ovvero premeditazione.

Svezia

Il paese possiede la prima e più avanzata legislazione che prevede un reato di mobbing. La Svezia ha in generale un'attenzione ai diritti umani che ha favorito il dibattito sulle molestie morali.[senza fonte]

Stati Uniti d'America

Gli Stati Uniti hanno una delle prime e più severe leggi sulle molestie sessuali sul posto di lavoro ma poca attenzione per questa materia.[senza fonte]

Filmografia

Note

  1. ^ Voce del Vocabolario Treccani Online
  2. ^ Il Mobbing: soprusi psicologici sul luogo di lavoro di Alessandro Raggi, da medicinaitaoia.it, 20 febbraio 2012
  3. ^ Mobbizzare in Vocabolario – Treccani
  4. ^ Eurispes, «3º Rapporto sulla Condizione dell'Infanzia e dell'adolescenza», 2002
  5. ^ Ciccarello M. E., Il Mobbing in Famiglia, Centro Studi Bruner, Master in Med. Familiare, 2002
  6. ^ F. Troiano - Rel.: Prof. Maria Cristina Verrocchio, "Una nuova epidemia sociale: la conflittualità nelle separazioni coniugali tra mobbing genitoriale e PAS" (PDF), su psychomedia.it, Psychomedia Telematic Review - Univ. degli Studi G. D'annunzio, Anno Accademi. URL consultato il 16 novembre 2014.
  7. ^ Gaetano Giordano, Conflittualità nella separazione coniugale: il "mobbing" genitoriale, 2003, Psychomedia Telematic Review
  8. ^ Vedasi pag. 16 del suo libro La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffré Editore, 2002, nel paragrafo "Non è un problema familiare"
  9. ^ Gaetano Giordano, Verso uno studio delle "transazioni mobbizanti": il mobbing genitoriale e la sua classificazione, su psychomedia.it, PSYCHOMEDIA TELEMATIC REVIEW, 16 giugno 2005. URL consultato il 16 novembre 2014.
  10. ^ Gaetano Giordano, Giuseppe Dimitri, Il mobbing genitoriale dall'etologia all'etica, su psychomedia.it, Psychomedia Telematic Review, 26 aprile 2007. URL consultato il 16 novembre 2014.
  11. ^ Dott.sa Anna Zanon, La persecuzione psicologica sul posto di lavoro, su ilmiopsicologo.it. URL consultato il 18 agosto 2008 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2008).
  12. ^ Stefano Gennai, Bossing, mobbing, straining nel pubblico impiego., in Altalex, 6.12.2006.
  13. ^ Fonte: The New York Times, cit. in Il metodo antistronzi, p. 57.
  14. ^ Paolo Pappone et Al. Patologia psichica da stress, mobbing e costrittività organizzativa: la tutela dell'Inail, INAIL, Roma 2005
  15. ^ Il Mobbing: Conseguenze da psicologiadellavoro.it, di Marco Benedetti
  16. ^ Percorsi di Criminologia di Marco Monzani, capitolo 6 pag. 180
  17. ^ Vedasi ad esempio art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
  18. ^ Sentenza Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - del 25 maggio 2006 n. Pres. Ciciretti, Rel. De Luca
  19. ^ art. 6, comma 8, lettera m-quater d.lgs. n. 81/2008
  20. ^ Lettera circolare del 18 novembre 2010 Archiviato il 21 gennaio 2012 in Internet Archive.
  21. ^ 28, comma 1-bis, del d.lgs. n. 81/2008
  22. ^ Trib. Pisa, sezione lavoro (1º grado) - 10 gennaio 2002
  23. ^ Sezione Lavoro, 21 gennaio 2002 n. 572 (udienza 14 giugno 2001) – Pres. Sciarelli – Rel. Mileo)
  24. ^ La sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 5 marzo 2005 n. 4959 ha stabilito che un periodo di malattia eccedente i limiti previsti nel CCNL di riferimento non è giustificato motivo soggettivo di licenziamento, se la malattia o invalidità permanente del lavoratore hanno una causa prevalente nell'attività lavorativa, oppure se, sopraggiunte per cause indipendenti, trovano nell'attività lavorativa una concausa aggravante, e il datore non adibisce il lavoratore ad altre mansioni, purché sussistano in azienda.
  25. ^ Resta salvo il principio, consolidato in giurisprudenza, della insindacabilità, ossia non modificabilità, delle scelte dell'imprenditore in tema di assetto organizzativo dell'azienda. In altre parole, se non esiste una mansione alternativa, il giudice non può disporre cambiamenti organizzativi o di sede, tali da creare un ruolo in cui il ricorrente possa essere reinserito.
  26. ^ Cassazione, sezione lavoro, 6 marzo 2006 n. 4774
  27. ^ Cass. sez. lav. 12 nov. 2002, n. 15868; Corte d'Appello di Salerno, sez. lav., 17 aprile 2002.
  28. ^ Sentenza Corte di Cassazione, sentenza n. 4774 del 6 marzo 2006, da Legge e Giustizia Lettera telematica di notizie
  29. ^ Sentenza Corte di Cassazione del 31 maggio 2011 n. 12048.
  30. ^ Corte Costituzionale, Sentenza n. 359 del 19 dicembre 2003, in G.U.R.I., serie speciale, n. 51 del 24 dicembre 2003
  31. ^ (Vedasi sentenze tribunale civile di Roma n. 16654 del 16/10/2012 e n. 7242 del 26/10/2015.
  32. ^ Cronaca: ultime notizie di cronaca - Corriere della Sera

Bibliografia

  • Marco Monzani Percorsi di Criminologia libreriauniversitaria.it edizioni, settembre 2011
  • Marcello Pedrazzoli (diretto da) - Vessazioni e angherie sul lavoro. Tutele, responsabilità e danni nel mobbing - Zanichelli, Bologna, 2007
  • Francesco Blasi e Claudio Petrella - Il Lavoro perverso. Il mobbing come paradigma di una psicopatologia del lavoro Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 2005
  • Paolo Pappone e altri autori Patologia psichica da stress, mobbing e costrittività organizzativa: la tutela dell'Inail, INAIL, Roma 2005.
  • Robert Sutton - Il metodo antistronzi. Come creare un ambiente di lavoro più civile e produttivo o sopravvivere se il tuo non lo è - Elliot - Roma, 2007. ISBN 978-88-6192-009-5
  • Harald Ege - Oltre il Mobbing. Straining, Stalking ed altre forme di conflittualità sul posto di lavoro - FrancoAngeli - Milano, 2005
  • Harald Ege - Mobbing. Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro - Pitagora - Bologna, 1996
  • Harald Ege - La valutazione peritale del danno da Mobbing - Giuffré - Milano, 2002
  • Giancarlo Trentini (a cura di) - Oltre il Mobbing. Le nuove frontiere della persecutività - FrancoAngeli - Milano, 2006
  • Giuseppe Favretto (a cura di) - Le forme del mobbing, cause e conseguenze di dinamiche organizzative disfunzionali - Raffaello Cortina Editore - Milano, 2005
  • Lazzari Carlo. Psicologia ed etica del lavoro e delle organizzazioni. Dal Mobbing all'etica aziendale. Roma: Armando Editore, 2004.
  • Lazzari Carlo. Psicologia ed etica delle aziende e delle relazioni aziendali. Roma: Armando Editore, 2006.
  • Marie-France Hirigoyen: Malaise dans le travail, harcèlement moral, démêler le vrai du faux, Syros, Paris, 2001.
  • Alessandro e Renato Gilioli - Cattivi capi, cattivi colleghi - Arnoldo Mondadori editore - Milano, 2000
  • Marie-France Hirigoyen: Le harcèlement moral, la violence perverse au quotidien, Syros, Paris, 1998.
  • Heinz Leymann: Mobbing – Psychoterror am Arbeitsplatz und wie man sich dagegen wehren kann. Rowohlt, Hamburg 1993, ISBN 3-499-13351-2.

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