Lingua ligure
Ligure Zenéize | |
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Parlato in | Italia Francia Principato di Monaco Argentina |
Parlato in | Liguria Sardegna: Carloforte e Calasetta Toscana: Capraia Piemonte: Novese e Ovadese Emilia-Romagna: alto Appennino piacentino Lombardia: Santa Margherita di Staffora e Brallo di Pregola |
Tassonomia | |
Filogenesi | Lingue indoeuropee Italiche Romanze Italo-occidentali Occidentali Galloiberiche Galloromanze Galloitaliche Ligure |
Codici di classificazione | |
ISO 639-2 | roa
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ISO 639-3 | lij (EN)
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Linguist List | lij (EN)
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Glottolog | ligu1248 (EN)
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Linguasphere | 51-AAA-oh
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Estratto in lingua | |
"Tutti i òmmi nàscian in libertæ e son pægi in dignitæ e drïti. Son dotæ de raxon e de consciensa e àn da fâ l'un con l'ätro in pinn-a fraternitæ." | |
La lingua ligure è una lingua appartenente alla famiglia delle lingue romanze del gruppo occidentale: tradizionalmente viene integrata nel gruppo galloitalico dei dialetti italiani, ma si allontana dalle altre parlate inserite in questo sistema (piemontese, lombardo, emiliano-romagnolo) per la presenza di caratteri di transizione verso le parlate dell'Italia centrale e meridionale e per specifiche caratteristiche: analogamente al veneto essa rappresenta dunque, nel contesto italiano settentrionale, una delle varietà meglio differenziate e riconoscibili.
Il termine lingua ligure è, in realtà, di introduzione recente. Esso è stato adottato nell'ultimo decennio per identificare con un termine che coinvolgesse l'intero contesto regionale - si tratta, infatti, di un continuum dialettale - sfumando il carattere centralista della dizione tradizionale genovese, in uso dal XIV secolo per denominare l'insieme delle varietà liguri-romanze; ne è testimonianza il fatto che, ancora oggi è spesso in uso, fra i parlanti, la denominazione "genovese".
La lingua ligure si deve ritenere una Lingua Regionale o minoritaria ai sensi della Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie, che all'Art. 1 afferma che per "lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue ... che non sono dialetti della lingua ufficiale dello stato".[2]
Inoltre
- La norma ISO 639-3 (codifica LIJ), citando il compendio Ethnologue, annovera il Ligure fra le lingue anziché fra i dialetti.
- Il Red Book for Endangered Languages dell'UNESCO la classifica quale "lingua gallo-romanza".
Anche presso l'università Sabhal Mòr Ostaig in Scozia si considera il ligure una lingua.
La denominazione complessiva tradizionale delle varietà liguri, come ricordato, è già genovese a partire dal XIV secolo: con essa si fa inoltre specifico riferimento alla lingua di Genova, capitale della Liguria, e alle parlate che ad essa più strettamente si collegano.
Il modello urbano del genovese è quello dotato di solide e consistenti tradizioni letterarie. La letteratura vanta infatti una produzione che risale al XIII secolo, dotata di una una significativa continuità storica e ideologica, confermata tra l'altro dal ricorrere di soluzioni ortografiche che appaiono fissate fin dai più antichi documenti. Su tali consuetudini si sono basate ricorrenti proposte di codificazione, a partire dalle Regole de l’ortografia zeneise premesse nel 1745 a un'edizione delle opere di Gian Giacomo Cavalli, sulle quali si basò la produzione letteraria settecentesca.
Nell'Ottocento la continuità dei modelli ortografici tradizionali è documentata nella stragrande maggioranza degli autori e nella pubblicistica; nel Vocabolario Genovese-italiano di Giovanni Casaccia (1876) furono esposte le regole grafiche che, non senza soluzioni personali e adeguamenti[3], si ripropongono nella stragrande maggioranza della tradizione letteraria e della lessicografia successiva, malgrado alcuni tentativi di riforma come quello attuato nel 1909 da Angelico Federico Gazzo, traduttore in genovese, tra l'altro, della Divina Commedia.
Un'ulteriore sistemazione della grafia tradizionale fu tentata nel 1997 con la Grammatica del genovese edita da "Le Mani", Recco per conto dell'Associazione "A Compagna" e della Provincia di Genova, mentre proposte più radicali di riforma sono state a varie riprese formulate: ad esempio, nel 2008 in seno all’Académia Ligùstica do Brénno è stata sviluppata la grafîa ofiçiâ (in italiano: grafia ufficiale) esplicitamente adottata da Wikipedia in Lingua ligure.
Allo stato attuale gli usi tradizionali, malgrado incertezze e adeguamenti personali, rimangono comunque i più diffusi e accettati per quanto riguarda la varietà genovese letteraria, mentre per le varietà liguri (anche di tipo genovese, come la parlata di Savona) si ricorre di preferenza a modelli ortografici semplificati, esemplati sull'italiano: ad esempio quello per i dialetti intemeli risalente agli anni trenta ed elaborato in seno al gruppo letterario della Barma Grande, e soprattutto quello, di respiro regionale, utilizzato nel Vocabolario delle Parlate Liguri, valido anche per la varietà genovese, promosso dalla Consulta Ligure (1985-1992), frutto dell'elaborazione di un gruppo di linguisti e dialettologi dell’università di Genova. Il monegasco e il tabarchino dispongono invece di standard ortografici codificati che hanno riconoscimento ufficiale e utilizzo diffuso (anche nella pratica didattica) nelle specifiche aree di competenza.
Diffusione
«Tanti sun li Zenoeixi, e per lo mondo si desteixi, che und'eli van o stan un'aotra Zenoa ge fan»
«Tanti sono i genovesi, per il mondo così dispersi, che dove vanno e stanno un'altra Genova fanno»
Il ligure è una lingua caratterizzata da una profonda crisi dell'uso: molte delle sue varianti, in particolare quelle urbane, stanno cadendo in disuso, per via dei mancati processi di trasmissione generazionale che riguardano diverse altre varietà linguistiche prive di prerogative istituzionali.
I dati ISTAT relativi al 2006 e pubblicati nel 2007 relativi agli usi linguistici tradizionali[4] parlano per la Liguria di un 68,5% della popolazione che parla preferibilmente italiano in famiglia, contro un 8,3 che preferisce il “dialetto” (quindi non solo il tipo ligure, ma anche varietà risalenti alla terra d’origine di immigrati da altre regioni), mentre un 17,6 alterna i due codici e un 5,2 (verosimilmente immigrati stranieri per la gran parte) utilizza un altro codice ancora; con gli amici, i cittadini della regione si esprimono in italiano per il 70%, in “dialetto” per il 6, alternano i due codici per il 19,6 e usano un’altra lingua per il 2,5; con estranei si preferisce l’italiano per l’87,1, il “dialetto” per il 2,5, l’alternanza dei due codici per l’8,7 e un altro idioma per l’1,1. Questi dati lasciano supporre che la percentuale di locutori attivi sia alta soprattutto tra la popolazione nata prima del boom economico del Novecento anni cinquanta, sessanta e settanta) e che scenda rapidamente fino a toccare lo zero tra le nuove generazioni; la distribuzione geografica vede inoltre una maggiore tenuta nelle aree rurali e rivierasche rispetto ai centri urbani principali.
Varie sono le cause che hanno portato ad un calo dell'uso della lingua ligure, riferibili a processi comuni alle diverse regioni italiane, soprattutto settentrionali: l'abbandono dei dialetti liguri da parte dei parlanti obbedisce infatti a una logica che permea la storia linguistica italiana a partire dall'Unità d'Italia[5].
Oggi il ligure, considerate quindi tutte le varianti, è parlato in quasi tutta la Liguria con l'esclusione dell'estremità orientale della regione, intorno alla città di Sarzana, dove i dialetti lunigianesi assumono caratteristiche proprie. Varietà di transizione verso i dialetti gallo-italici, ma ancora con nette caratteristiche liguri, sono quelle del cosiddetto Oltregiogo, il territorio che comprende i solchi vallivi al di sopra dello spartiacque alpino-appenninico, includendo anche aree amministrativamente legate ad altre regioni italiane: in provincia di Cuneo, l'alta val Tanaro con i centri di Briga Alta, Ormea e Garessio, mentre i caratteri piemontesi si accentuano nei dialetti della val Mongia (Viola e Pamparato) e di alcuni rami della val Bormida (Monesiglio); in provincia di Alessandria, l'Oltregiogo storico a sud di Ovada e Novi Ligure include i centri di Gavi, Arquata Scrivia e Serravalle Scrivia, la val Lemme e la val Borbera, che fecero parte della Repubblica di Genova o furono amministrati come feudi da famiglie genovesi; in provincia di Pavia, l'alta val Staffora; in provincia di Piacenza l'alta val Trebbia a sud di Bobbio e la val d'Aveto (ma anche in alta val Nure l'influenza ligure è piuttosto accentuata); in provincia di Parma l'alta val di Taro con Bedonia e Borgo Val di Taro.
Una varietà ligure occidentale denominata Monegasco viene tradizionalmente parlata nel Principato di Monaco dove, sebbene non sia lingua ufficiale (status riservato al francese)[6], viene però insegnata nelle scuole e può essere scelta come opzione al Baccalauréat[7] (17% della popolazione indigena); in Francia, dialetti liguri di tipo alpino (roiasco e brigasco) si parlano in val Roia (ad esempio nei centri di Briga, Tenda, Saorge, Breil-sur-Roya), mentre a Mentone e a Roquebrune-Cap-Martin si parla una varietà ligure con caratteri di transizione verso il nizzardo.
Circa 10.000 persone in Sardegna tra Carloforte e Calasetta (Provincia di Carbonia-Iglesias) parlano il dialetto tabarchino, formando un'isola linguistica ligure; ciò è dovuto ad una migrazione di coloni genovesi che dal secolo XVI si erano trasferiti a Tabarca (Tunisia), emigrando in parte verso la Sardegna in seguito alle pressioni provocate dall'accresciuta ingerenza francese sul paese africano. Un'altra isola linguistica genovese è Bonifacio in Corsica, quale conseguenza di un popolamento risalente al XII secolo (vedi lingua corsa).
Determinante fu il ruolo delle parlate liguri dell'Oltregiogo occidentale (alta val Bormida) nella formazione in epoca medievale delle parlate cosiddette galloitaliche della Basilicata (Potenza, Picerno, Tito ecc.), e anche i dialetti altoitaliani della Sicilia (Aidone, Piazza Armerina, Nicosia ecc.) presentano una componente ligure, la cui esatta origine resta però da determinare.
Dialetti liguri importati nel XV secolo dalla zona di Oneglia furono parlati fino ai primi anni del Novecento in alcune località della Provenza orientale (Biot, Vallauris, Mons ed Escragnolles), e anche il ramo spagnolo della diaspora tabarchina, stanziato sull'isola di Nuova Tabarca presso Alicante, si estinse soltanto all'inizio del XX secolo. Più a lungo è sopravvissuta la comunità di lingua genovese installatasi a partire dai primi anni del Settecento a Gibilterra (ove gli ultimi parlanti scomparvero verso il 1980), ma dove ha influenzato il dialetto composito attualmente parlato: il Llanito, mentre sono ancora vitali diverse comunità di parlanti in America Latina, soprattutto in Cile, Argentina e in Peru.
Il genovese esportato per motivi storico-politici in vari ambiti del Mediterraneo e dell'Atlantico ai tempi della Repubblica di Genova e durante l'Ottocento ha influenzato notevolmente la lingua corsa, il dialetto greco dell'isola di Chios, la lingua sassarese e altri idiomi; ha contribuito inoltre alla formazione di varietà miste, come il dialetto dell'isola di Capraia (a base còrsa) e quello de La Maddalena (vera e propria varietà di transizione corso-sardo-ligure), oltre a una varietà di cocoliche chiamata lengua giacumina che fu parlata a Buenos Aires e che lasciò tracce significative nel lessico del gergo lunfardo.
Storia linguistica
«Son zeneize, riso ræo,
strenzo i denti e parlo ciæo»
Dal punto di vista storico, il ligure rappresenta l'evoluzione locale del latino volgare, caratterizzata come si è visto dall'emergere, insieme a fenomeni comuni con le parlate dell'Italia settentrionali, di caratteri nettamente peculiari o di raccordo con l'area italiana centro-meridionale. Durante i secoli, a causa dell'espansione marittima di Genova e a causa degli innumerevoli traffici commerciali, la lingua si è arricchita di numerose parole arabe, spagnole, inglesi, francesi e, in maniera minore, greche, nonché di altre derivate da altre lingue[8].
Tra i caratteri settentrionali, non ugualmente condivisi da tutte le parlate liguri, si segnalano ad esempio:
- l'evoluzione in [y] di Ū latino (PLUS > ciù) e la presenza del fonema eu (pronuncia [ø], SAMPA [2]) (NOVU > neuvo > neuo);
- l'evoluzione di -CT- secondo un modello che viene dubitativamente riferito a influsso celtico (FACTU > fàito > féito > fæto);
- la palatizzazione di CL- e GL- in c(i), g(i) (es. CLAMARE > ciamâ, GLAREA > giæra 'ghiaia');
- la lenizione delle consonanti sorde, che può raggiungere la completa sparizione (LOCU > leugo, CEPULLA > sevolla > seolla > çiòula, DIGITU > dïo, ecc.);
Tra i caratteri di raccordo con l'area centro-meridionale:
- la conservazione delle vocali atone e finali tranne dopo -n e -l, -r (ad esempio in gatto - pronuncia [ˈɡattu], SAMPA ["gattu] - contro il settentrionale 'gat', menéstra contro 'mnestra', ma càn per 'cane');
- la palatizzazione "spinta" di PL-, BL- e FL- quale si ritrova anche nei dialetti italiani meridionali (PLANTA > cianta, BLASPHEMIA > giastémma, FLORE > sciô);
- la maggior parte delle caratteristiche morfologiche e sintattiche.
Tra le altre caratteristiche specifiche o che connotano comunque in maniera unitaria le varietà liguri:
- Il passaggio da -L- a -R- (che copre un'area peraltro assai vasta dalla Provenza all'Italia settentrionale) e l'indebolimento di -r- in -ř- palatale, che nei dialetti più evoluti, compreso il genovese, arriva fino alla caduta: CARU > cařu > câu ('caro'), mařavéggia > mâveggia 'meraviglia', ciæřu > ciæu ('chiaro'), ecc. Questo fatto tra gli altri ha avuto conseguenze notevoli nella struttura delle parole: ad esempio FARINA è passato a fařinn-a e da qui a faìn-a, con successiva ritrazione dell'accento in fàina e chiusura del dittongo nel genovese moderno fænn-a; PATRE ha dato in genovese medievale l'esito pàiře in seguito al quale, dopo lo sviluppo di un'appendice semivocalica alla consonante labiale (poàiře) e alla chiusura del dittongo si è arrivati al genovese moderno poæ attraverso le fasi poæře, poæe: sempre in genovese, tra le conseguenze di questi fenomeni di ristrutturazione fonetica, la quantità vocalica ha assunto valore fonologico, sia che si tratti di vocali toniche che atone: si distingue pertanto, ad esempio, tra cäsetta 'calza', con vocale lunga, e cassetta 'mestolo' con vocale breve (la doppia -ss- ha valore puramente grafico).
I dialetti liguri rappresentano un gruppo sostanzialmente unitario nel quale le forze centrifughe date dal frazionamento territoriale sono state controbilanciate, tra l'altro, dall'influsso politico e culturale di Genova su gran parte del restante territorio: se questo fatto ha marginalizzato da un lato i dialetti più eccentrici, come quelli arcaici delle Alpi Marittime o delle Cinque Terre, in alcuni casi si è verificata la conservazione nelle parlate provinciali di caratteristiche un tempo comuni al genovese urbano: ad esempio, la -ř- palatale caduta nella variante illustre a partire dal sec. XVIII è ancora saldamente presente in molte varietà della Riviera di Ponente, e i suoni / ts / e / dz / del genovese medievale si mantengono ancora in alcune aree montane. Al di là dell'influenza genovese, alcuni elementi di differenziazione interna sono comunque antichi: si distingue così l'esito di -CL- latino nell'area orientale gravitante su La Spezia (che ha specio) dal tipo genovese (spegio, pronuncia [ˈspeːdʒu], SAMPA ["spe:dZu]) diffuso fino a Taggia verso ovest e da quello occidentale estremo che è spegliu; al contrario, l'esito del nesso latino -LI- è -g(i)- in un'area che va dai confini orientali fino alla zona di Finale Ligure (che ne è esclusa) (FAMILIA > famiggia), mentre più a ovest si ha -gl(i)- (famiglia); tra i fenomeni di tipo "galloitalico", inoltre, la velarizzazione di -N- e il passaggio di Ē latina ad -ei- sono estesi solo nella zona più direttamente influenzata da Genova, con LANA > lann-a (pronuncia [ˈlaŋŋa], SAMPA ["laNNa]) e BIBERE > beive ('bere'), che vanno da Noli a Moneglia. Sulla base di queste e di altre differenziazioni è ormai invalso l'uso di classificare i dialetti liguri secondo lo schema seguente:
- ligure orientale (dai confini orientali fino a Levanto sulla costa, con l'area particolarmente conservativa delle Cinque Terre);
- ligure genovese, da Moneglia a Noli col corrispondente entroterra al di sotto dello spartiacque appenninico e appendici in valle Scrivia (la varietà più diffusa e parlata, riconosciuta come genovese "illustre");
- ligure centro-occidentale, da Finale Ligure a Taggia;
- ligure occidentale (compreso l'intemelio), da Taggia a Monaco (monegasco);
- ligure alpino (roiasco, nelle zone montane a nord della fascia occidentale, con caratteri conservativi; il dialetto brigasco di Realdo, Verdeggia e Briga Alta e quello di Olivetta San Michele appartengono a questa sottovarietà, e la loro attribuzione al tipo occitano è legata strumentalmente all'accesso ai fondi della legge 482 in materia di minoranze linguistiche storiche;
- ligure dell'Oltregiogo, al di sopra dello spartiacque, con caratteri di transizione verso il piemontese (Oltregiogo occidentale, corrispondente alla val Bormida e alla zona tra Sassello e Ovada), il lombardo (Oltregiogo centrale, con centro a Novi Ligure) e l'emiliano-romagnolo (Oltregiogo centrale con la val Staffora e Oltregiogo orientale, dalla val Trebbia alla val di Taro);
- ligure coloniale, cui appartengono come si è visto il tabarchino (parlato in Sardegna a Calasetta e Carloforte), sostanzialmente aderente al genovese rustico e il bonifacino (parlato in Corsica a Bonifacio), che rappresenta un'autonoma evoluzione dei dialetti liguri orientali degli originari coloni, con influssi del genovese urbano.
All'interno di questi raggruppamenti vigono differenziazioni anche sostanziali, ma in linea di massima le parlate liguri rimangono nettamente riconoscibili nel loro insieme e risultano caratterizzati da una forte unitarietà lessicale, che ne favorisce l'intercomprensione; il gruppo genovese è comunque il più compatto, anche se le differenze areali (ad esempio tra l'area del Tigullio e la varietà urbana o il savonese) e di ordine sociolinguistico (varianti rustiche, popolari, della borghesia urbana ecc.) hanno una loro importanza.
Esempi di differenza tra Ligure genovese e Ligure dell'oltregioco (dialetto di Daglio di Cabella Ligure in val Borbera):
Genovesato | Oltregioco | Italiano |
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Zena /'ze:na/ | Ziena /'zje:na/ | Genova |
gente /'dʒeŋte/ | ginte /'dʒiŋte/ | gente |
pòula /'powla/ | pòula /'pɔwla/ | parola |
cuxinn-a /ky'ʒiŋŋa/ | cuxin-na /ky'ʒiŋna/ | cucina |
Storia linguistica esterna
Accanto all'originale evoluzione linguistica, che denuncia l'alternarsi nel periodo di formazione di fasi di apertura verso il settentrione a momenti di maggiore orientamento verso sud (coincidenti probabilmente con la fase della resistenza bizantina all'espansione longobarda tra il VI e il VII secolo), un aspetto costitutivo della personalità attuale della lingua ligure è dato dalle conseguenze della precoce espansione politico-commerciale di Genova nell'Oltremare: più ancora che Venezia, interessata al controllo di un settore significativo del proprio retroterra, Genova, unificato lo stato regionale lungo l'arco rivierasco e oltre, si dimostrò poco attratta dai modelli culturali e linguistici del settentrione, al punto che l'alterità etnica rispetto ai "Lombardi" è un luogo comune costantemente rappresentato nella letteratura medievale.
Le dinamiche dell'espansione mediterranea introdussero dunque precocemente, nel genovese e nelle parlate liguri, una serie di elementi lessicali di provenienza araba, bizantina e neoellenica, turca, iberoromanza e provenzale, che contribuirono in maniera decisiva allo sviluppo di una personalità linguistica autonoma rispetto al retroterra: al contempo, il diretto raccordo con la Toscana eludeva la partecipazione dell'area ligure ai modelli di koinè italiana settentrionale, isolando Genova e le riviere anche dai più recenti processi evolutivi in ambito galloitalico: "lingua del mare" quanto poche altre, il genovese ha lasciato inoltre una quantità notevole di prestiti non soltanto nelle lingue con le quali ha avuto più lunghi e durevoli contatti, come il corso, ma anche in idiomi orientali, in spagnolo, in francese e naturalmente nell'italiano, che dal genovese ha mutuato una parte importante del proprio lessico marinaresco (parole come scoglio, cavo, gassa, bolentino, tra le altre, sono di derivazione ligure).
Va considerato, inoltre, che il genovese godette in epoca medievale e moderna di un notevole prestigio come lingua commerciale, diffusa fino all'Ottocento nei grandi porti del Mediterraneo orientale e occidentale e lungo le coste americane dell'Atlantico: non solo le colonie commerciali genovesi, da Pera presso Costantinopoli a Caffa in Crimea assistettero a questa espansione linguistica (puntualmente rintracciabile nei documenti), ma ancora in pieno Ottocento il genovese ebbe un ruolo preminente nei contatti commerciali tra operatori locali ed europei ad esempio a Tunisi, e fu lingua tecnica della navigazione fluviale lungo il Rio de la Plata in Argentina. Questa diffusione ebbe come riflesso interno una crescita del genovese come lingua scritta a partire dalla fine del XIII secolo.
Atti ufficiali redatti in volgare genovese appaiono con sempre maggiore frequenza fra il Trecento e il Quattrocento, e solo a partire dalla metà del Cinquecento si può parlare di una generalizzata sostituzione dell'italiano negli usi scritti (ove peraltro a prevalere fu sempre il latino). In questo modo il genovese finì per rappresentare un elemento caratterizzante nella rappresentazione retorica della "diversità" genovese, denunciata da Dante nella Divina Commedia ma assunta dalla classe dirigente locale come punto di forza della propria prassi politica: le peculiarità istituzionali della Repubblica, soprattutto a partire dal 1528, furono associate strettamente all'utilizzo di una lingua che gli umanisti italiani, come il Varchi, definirono "barbara" e "da tutte l'altre diversa", ma che proprio per questo gli intellettuali locali, come Paolo Foglietta non cessarono di promuovere come espressione originale di un senso di autonoma appartenenza nazionale.
Il rapporto lingua-identità divenne particolarmente vistoso tra il XVII e il XIX secolo, prima in polemica con l'italiano fiorentino (che verrà introdotto in Liguria come lingua parlata solo dopo la metà del Novecento) e lo spagnolo, lingue "forestiere" rifiutate da una parte dell'aristocrazia locale, poi come elemento di coesione interclassista ai tempi della guerra di liberazione dall'occupazione austro-piemontese del 1745-1748.
Se a differenza dei vicini stati sabaudi l'italiano, per quanto piuttosto diffuso (e non soltanto nei ceti intellettuali), non ebbe mai prerogative di ufficialità durante l'Ancien régime, con l'occupazione piemontese (1815) il suo uso pubblico incise profondamente il prestigio del genovese, sempre più relegato al rango di linguaggio tecnico della navigazione e del commercio, oltre che, ovviamente, come linguaggio del popolo e delle classi aristocratiche: la reazione autonomista sviluppatasi soprattutto prima della proclamazione del Regno d'Italia (1861) si servì comunque del genovese in funzione anti-monarchica, e tracce significative di questo atteggiamento, che confermava il nesso imprescindibile tra identità linguistica e senso di appartenenza, si ritroveranno nella prassi di scrittori e studiosi attivi fino ai primi decenni del Novecento. A partire da allora, il regresso del genovese e delle parlate liguri segue modalità analoghe a quelle che contraddistinguono il progressivo calo di prestigio delle diverse parlate regionali italiche.
Al giorno d'oggi, in un momento in cui l'uso delle parlate liguri, per quanto ancora diffuse, stia sempre più scemando, sono molte le iniziative culturali in loro difesa, tutte provenienti non dalle istituzioni, che poco valorizzano il patrimonio linguistico, ma da amatori e cultori non sempre dotati della necessaria preparazione linguistica e culturale.
Letteratura
Quella in genovese presenta caratteri insoliti nel quadro delle letterature regionali italiane: è dotata anzitutto di una propria continuità storica e contenutistica, verificabile a partire dai testi delle origini, e si distingue per il deciso prevalere di temi che esulano da quelli che si considerano tipici dell’espressione dialettale.
Il primo testo, risalente al 1190, è il contrasto bilingue di un trovatore provenzale, Raimbaut de Vaqueiras, nel quale una dama genovese risponde per le rime a un corteggiatore occitanico. Questo esperimento letterario isolato, tra i primi a prevedere l’uso di un volgare di area italiana, spicca tra i documenti di carattere notarile anticipando solo dal punto di vista linguistico i successivi frammenti epico-lirici e la complessa opera poetica di Luchetto, meglio noto come l’Anonimo Genovese, che tra la fine del Duecento e i primi del Trecento sviluppa nelle sue Rime temi di carattere religioso e morale, ma soprattutto l’esaltazione patriottica delle vittorie navali sui Veneziani: è l’iniziatore di un robusto filone di poesia civile che continuerà nei secoli successivi accanto alla produzione lirica, orientata in un primo tempo su contenuti religiosi (le Laudi di tradizione tosco-umbra, primo embrione del teatro in volgare).
Il Trecento tuttavia vede soprattutto una notevole fioritura di testi in prosa (prevalentemente anonimi, ma anche di autori come Gerolamo da Bavari o Antonio de Regibus), opere originali o tradotte dal latino, dal francese, dal toscano e dal catalano con le quali Genova si propone quale centro di ricezione e di trasmissione per un tipo di letteratura moraleggiante, a carattere narrativo, cronachistico e dottrinale, che tocca i suoi vertici nella Passion de lo Segnor Gexù Christe e in alcune raccolte di vite di santi e leggende mariane (Miràcori de la biâ Verzem). Questo filone continua nel Quattrocento arricchendosi di contenuti escatologici nella Istòria de lo complimento de lo mondo e avegnimento de Antechriste, ma intanto l’uso del genovese come lingua cancelleresca implica la trascrizione di orazioni politiche e altre prose civili. La poesia in volgare stigmatizza in quell’epoca le discordie intestine, ma celebra anche, con Andreolo Giustiniani, le più recenti vittorie d’oltremare.
Nel corso del Cinquecento la lirica religiosa cede progressivamente il passo a quella di carattere amoroso, condotta tra gli altri da Paolo Foglietta e da Barnaba Cigala Casero sui registri sostenuti del petrarchismo. Con Foglietta in particolare riprende vigore la poesia civilmente impegnata che riflette il complesso dibattito istituzionale interno della Repubblica: nasce in quell’epoca anche un teatro plurilingue, destinato a grande fortuna nel secolo successivo grazie all’opera di Anton Giulio Brignole Sale, in cui i personaggi che si esprimono in genovese rappresentano dietro metafora le problematiche politiche che si agitano in quel periodo. Gian Giacomo Cavalli è l’autore più rappresentativo del concettismo barocco della prima metà del Seicento e il poeta che più di ogni altro sviluppa, con la sua lirica amorosa e i poemetti encomiastici e patriottici raccolti nella Çìttara zeneize (1636) una lingua letteraria nettamente distinta dalla parlata popolare fatta propria tra gli altri, nello stesso periodo, da Giuliano Rossi.
Dopo la crisi di metà Seicento l’espressione in genovese riprende vigore su temi politico-patriottici, prima con le opere di Carlo Andrea Castagnola e Gio. Agostino Pollinari (il "Genio lìgure trionfante") che celebrano la resistenza genovese al bombardamento francese del 1684, poi con la fioritura intorno al 1745-1748 di un’ampia produzione epica dedicata alla guerra di liberazione dall’occupazione austro-piemontese (la cosiddetta guerra di Balilla) e alle ultime vittorie sui corsari barbareschi: a opere anonime come la Libeaçion de Zena e il Trionfo dro pòpolo zeneize si associa in particolare la multiforme attività poetica e teatrale di Stefano de Franchi, autore aristocratico che apre tuttavia al gusto popolaresco nelle sue traduzioni da Molière (Comedie transportæ da ro françeize in lengua zeneize) e nelle poesie originali di contenuto lirico e patriottico. Questa vena sarà continuata con accenti diversi durante la breve stagione della poesia rivoluzionaria legata all’instaurazione (1797) del regime filofrancese.
L’Ottocento si apre all’insegna dello scoramento per l’annessione forzata alla monarchia sabauda, che genera da un lato il disimpegno, risolto in chiave introspettiva e moraleggiante, di Martin Piaggio (Esòpo zeneise), dall’altro la reazione patriottica e liberal-repubblicana di autori come Giovanni Casaccia, Giovanni Battista Vigo e soprattutto Luigi Michele Pedevilla, che col poema epico A Colombìade si inserisce a pieno titolo nel clima delle rinascenze culturali delle lingue minoritarie europee. Riprende vigore nell’Ottocento anche la produzione in prosa: sia la narrativa, per lo più legata alle appendici di giornali in genovese come O Balilla e "O Staffî, dove compaiono le opere di Edoardo M. Chiozza e il romanzo anonimo di ambientazione americana Ginn-a de Sanpedænn-a; sia il teatro, che vede in Nicolò Bacigalupo il primo autore in genovese di gusto schiettamente dialettale.
Ai primi del Novecento, mentre cresce la scrittura in alcune varietà dialettali periferiche (spezzino, ventimigliese, alassino), Angelico Federico Gazzo con la traduzione integrale della Divina Commedia si inserisce, rinnovandolo, al seguito del filone regionalista ottocentesco; il clima poetico del Novecento è dominato però dalla figura di Edoardo Firpo, autore attento al recupero della tradizione classica ma aperto al decadentismo e al rinnovato gusto della poesia dialettale italiana contemporanea. Nello stesso periodo si distingue anche il poeta savonese Giuseppe Cava. Come riferimento importante nato in quest'epoca si segnala Il dizionario Genovese - Italiano / Italiano - Genovese, pubblicato da Gaetano Frisoni nel 1910.
Nel secondo dopoguerra la poesia in genovese e nelle varietà liguri cresce per qualità e quantità con autori come l’imperiese Cesare Vivaldi, i ventimigliesi Renzo Villa e Andrea Capano, il lericino Paolo Bertolani,il savonese Giuseppe Cava e soprattutto i genovesi, da Alfredo Gismondi e Aldo Acquarone, a Plinio Guidoni (anche drammaturgo), Roberto Giannoni, Luigi Anselmi, Vito Elio Petrucci, Silvio Opisso, Giuliano Balestreri, Sergio Sileri, Sandro Patrone, Angelo de Ferrari, Daniele Caviglia, Alessandro Guasoni, Enrica Arvigo, Anselmo Roveda, e numerosi altri, non sempre meritevoli di menzione per l'eccellenza artistica, ma comunque rappresentativi dell'interesse che circonda nella fase attuale l'uso letterario del genovese. Una certa sclerosi riguarda negli ultimi tempi il teatro, legato ai modelli farseschi imposti dall’attore Gilberto Govi, mentre la canzone d’autore ha toccato punte di eccellenza con Fabrizio De André; recenti sono i tentativi di rinascita della prosa giornalistica e la ricerca di altri ambiti espressivi, come la prosa scientifica e divulgativa.
Conservazione culturale
Come si è detto, è fenomeno recente il rilancio delle parlate liguri, con risultati discreti, da un punto di vista della loro rappresentatività e della "visibilità": è d'altra parte risaputo che la continuità di una lingua dipende principalmente dall'uso che i genitori o chi per loro ne fanno con le generazioni più giovani.
Iniziative di promozione e valorizzazione della lingua genovese sono state a vario titolo intraprese da alcune società tradizionali, fra le quali ad esempio la genovese A Compagna (compresa la sottosezione indipendente CLiSCET) o la Cumpagnia d'i Ventemigliusi di Ventimiglia (la quale promuove la variante ventimigliese).
Dal punto di vista della didattica, si segnala qualche modesta iniziativa di inserimento del genovese nelle scuole elementari da parte di insegnanti volontari; dal punto di vista della visibilità pubblica, sono molteplici, dalle Cinque Terre fino al Principato di Monaco, le iniziative di recupero della toponomastica locale che individua caruggi (o più precisamente caroggi, ovvero i caratteristici vicoli del centro storico), vie, zone, quartieri e paesi.
Nella seconda metà del 2009, il Presidente della Regione Liguria Claudio Burlando ha annunciato che la Regione ha stanziato fondi affinché, insieme con l'associazione A Compagna, siano istituiti corsi di lingua facoltativi per i giovani, oltre che a produrre libri, sussidiai e vocabolari in grafia ufficiale[9].
Esempi
Citazioni celebri
- Che l'inse? = "Incomincio?" è la celebre frase con cui il ragazzino undicenne di Portoria Giobatta Perasso (famoso col soprannome di Balilla) diede il la alla sassaiola contro gli austriaci, che portò alla ribellione, che culminò con la liberazione dagli invasori d'oltralpe.
Scioglilingua
- A-o meu neuo gh'é neue nae neue: a ciù neua de neue nae neue a n'eu anâ; il tipico uso delle vocali viene magistralmente esemplificato da questo stornello: "Al molo nuovo ci sono nove navi nuove e la più nuova, delle nove navi nuove, non vuole andare".
- Sò asæ s'a sâ a sâ asæ pe sâ a sâsissa = "Non so se il sale basterà per salare la salsiccia".
- Scià scie scignoa, sciando scià xeua 'n scî sci = "Scii, signora, sciando vola sugli sci".
- G'àngiei gh'àn gi'euggi e gi'oege e gi'unge cómme gi'atri? = "Gli angeli hanno occhi orecchie ed unghie come gli altri?" (variante tipica del comune di Cogorno).
Modi di dire
- Son zeneize, riso ræo, strenzo i denti e parlo ciæo = Sono genovese, rido raramente, stringo i denti e parlo chiaramente.
- Al bambino che si lamenta Gh'ò famme, facilmente la mamma risponde: Gràttite e zenogge e fatte e lasagne = "grattati le ginocchia e fatti le lasagne". D'altronde è noto anche ai bambini di ogni età che Chi no cianze, no tetta, ossia "chi non piange, non viene alimentato dalla mamma".
- Pòscito-êse alughetòu = Possa tu essere riposto, allogato per un po': alughetâ è il frequentativo del verbo alugâ (in italiano riporre, allogare) e l'uso del frequentativo è appropriato dato che la frase si diceva ai bambini vivaci: che potessero appunto essere riposti per un po' (di qui il frequentativo del verbo). Esistono alcune varianti: pòscito moî òrbo = "possa tu morire orbo"; pòscito ëse ammassòu! = "possa tu esser ammazzato".
- Chi veu vive da bon crestian, da-i beghin o stagghe lontàn = Antico proverbio che mette in guardia da fanatici ed ipocriti: "Chi vuole vivere da buon cristiano, dai beghini" (i falsi devoti) "stia lontano".
- A sfortunn-a a l'é 'n grifon, ch'o gïa in gïo a-a testa do belinon = Saggezza popolare che riflette il carattere risoluto ed alcuni simboli e luoghi comuni propri del popolo genovese: "La sfortuna è un grifone che gira intorno alla testa dello stupido". Citazione utilizzata anche da Fabrizio De André nella canzone Sinàn Capodàn Pascià dell'album Crêuza de mâ.
- Sciusciâ e sciorbî no se peu = Detto quasi esclusivamente ligure, significa "Soffiare e aspirare non si può". Non si può pretendere di fare una cosa e il suo contrario; occorre fare una scelta e sapersi accontentare.
- L'é megio avei e braghe sguaræ 'nto cù che o cù sguaròu'nte brâghe = "è meglio avere i pantaloni rotti nel culo, che il culo rotto nei i pantaloni".
Termini liguri entrati a far parte della lingua italiana
- arbanella = vasetto per conserve;
- mugugno = lamentela;
- bagascia = prostituta;
- scheuggio, diventato "scheggio" in italiano antico[10] e in seguito "scoglio".
"Falsi amici"
Elenco di parole uguali graficamente all'italiano ma con significato completamente diverso.
- möro = faccia, volto
- stanco = tabaccaio
- barba = zio
- fatto = insipido
- lalla = zia
Note
- ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
- ^ La Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie è stata approvata il il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 1 marzo 1998. L'Italia ha firmato tale Carta il 27 giugno 2000 ma non l'ha ancora ratificata.
- ^ Osservazioni sulla grafia di Giovanni Casaccia
- ^ http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070420_00/testointegrale.pdf
- ^ Si veda in merito AA.VV. L'italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali a cura di Francesco Bruni, UTET, Torino 1992, e soprattutto il saggio relativo alla Liguria di Alberto Beniscelli, Vittorio Coletti e Lorenzo Coveri.
- ^ Art. 8. - La langue française est la langue officielle de l’État., Costituzione di Monaco del 1962
- ^ MONACO - LES INSTITUTIONS
- ^ Un'analisi in questo senso è stata compiuta da Vito Elio Petrucci nella sua Grammatica sgrammaticata della lingua genovese.
- ^ In questa pagina sono riportate tutte le fonti.
- ^ Utilizzato, per esempio, da Dante nella sua Commedia.
Bibliografia
- Franco Bampi, Nuovo Dizionario Italiano - Genovese in grafia ufficiale con la pronuncia di tutte le parole, Genova, Nuova Editrice Genovese, 2008
- Carlo Olivari, Laboratorio di Lingua Genovese - Zeneise Riso Ræo, Vocabolario Genovese-Italiano, Italiano-Genovese, Genova, Liberodiscrivere, 2006
- Fiorenzo Toso, La letteratura in genovese. Ottocento anni di storia, arte, cultura e lingua in Liguria (3 vol.) , Le Mani-Microart'S 1999-2001.
- Fiorenzo Toso, Dizionario Genovese - Italiano - Genovese Genovese - Italiano, Antonio Vallardi Editore, 1998
Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Grafia della lingua ligure
- Grafîa ofiçiâ de l'Académia Ligùstica do Brénno
- Fonologia genovese
- Per sentire i suoni della lingua genovese
- Come si scrive in lingua genovese
- Alcune nozioni riguardo la lingua genovese
- Problemi di grafia della lingua genovese
- Varianti della lingua ligure
- Ziardua zeneise
- (FR) Raymond Arveiller - Styddiu insciaa parlaa de Munegu
- L'ìsoa de San Pê
- Dizionario del dialetto di Calasetta
- (FR) Proverbi del dialetto di Bonifacio
- (FR) Grammatica del dialetto di Bonifacio
- (FR) Poesie del dialetto di Bonifacio
- (FR) Dizionario bonifacino-francese
- (FR) Dizionario francese-bonifacino
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