Suiko
Suiko | |
---|---|
Imperatrice del Giappone | |
In carica | 592 - 628 |
Predecessore | Sushun |
Successore | Jomei |
Nascita | 554 |
Morte | 15 aprile 628 |
Padre | Kimmei |
Madre | Soga no Kitashihime |
Suiko (推古天皇, Suiko Tennō; 554 – 15 aprile 628) è stata la trentatreesima imperatrice del Giappone, regnò dal 592 fino alla morte, avvenuta nel 628. Fu la prima donna a salire sul trono del crisantemo. Il suo regno fu caratterizzato da grandi avvenimenti in campo sociale, culturale e religioso, che trasformarono il paese in un periodo che fu tra i più fiorenti della storia giapponese.
Biografia
Origini
Era una delle figlie dell'imperatore Kimmei e della nobile Katashihime, figlia dell'"Ō-omi" (Primo Ministro) Soga no Iname.[1] Il suo nome alla nascita era Nukatabe (額田部皇女).
Nel 571, a 18 anni, sposò come seconda consorte il principe ereditario e suo fratellastro da parte di padre Nunakuro no Futotamashiki, che sarebbe poi divenuto nel 572 l'imperatore Bidatsu. Nello stesso anno morì la prima consorte, Hirohime, e Nukatabe divenne la nuova imperatrice consorte. Ebbe dal sovrano due figli e cinque figlie.
Dopo la morte di Bidatsu, nel 585, Suiko giocò un ruolo importante nella scena politica giapponese, grazie all'appoggio dello zio, il nuovo Ō-omi Soga no Umako, figlio di Iname. Il fratello Yomei, fervente buddhista, salì al trono dopo Bidatsu, e durante il suo breve regno (585-587) promosse l'adozione a corte del buddhismo, ma le lotte intestine tra i clan imperiali ostacolarono i suoi progetti.
Antefatti al suo regno
Da alcuni decenni si era scatenata una lotta per il potere tra i diversi clan della corte di Yamato, che aveva unificato sotto le sue insegne il paese. La disputa aveva anche connotati religiosi, con il tentativo da parte di alcune famiglie di introdurre a corte il buddhismo, avversato dai clan legati alla tradizione shintoista.
Le famiglie che si distinsero in tale scontro furono:
- Il clan Soga, che era il maggior sostenitore del buddhismo, i cui capi si fregiavano del titolo di "grande ministro" (Omi?, 臣)
- Il clan Mononobe, che controllava l'esercito e, fedele alla tradizione shinto, era il più agguerrito rivale dei Soga.[2]
- Il clan Nakatomi, maestri delle cerimonie shinto di corte ed alleati dei Mononobe
Alla morte dell'imperatore Yomei, avvenuta nel quarto mese del 587, si scatenò un conflitto per la successione. I Mononobe ed i Nakatomi tentarono di favorire l'ascesa al trono del principe Anahobe, fratellastro di Nukatabe, mentre Soga no Umako, capo del clan Soga, si oppose al progetto dei rivali e sostenne la candidatura del principe Hatsusebe, fratello di Anahobe.
La contrapposizione fu radicale e si risolse con la battaglia di Shigisan, che si svolse nel 587 lungo il fiume Ekagawa, nella provincia di Kawachi, l'odierna prefettura di Osaka. Lo scontro vide il trionfo dell'armata Soga e la distruzione del clan Mononobe, il cui capo, Moriya, trovò la morte assieme al principe Anahobe ed al capo-clan dei Nakatomi.[3]
L'evento ebbe come conseguenza l'ascesa al trono del crisantemo di Hatsusebe, che divenne imperatore con il nome Sushun. Fu l'inizio dell'incontrastato dominio della scena politica da parte di Soga no Umako, che fece del buddhismo la religione ufficiale di corte.[4]
Il regno di Sushun ebbe inizio nel 587, terminando poi nel 592,[5] in quell'arco di tempo, Soga no Umako, in piena autonomia e con l'aiuto di Nukatabe e del principe Shōtoku, fervente buddhista e nipote di Sushun, iniziò a cambiare il volto del paese e l'organizzazione statale.[4]
Nel 588 venne costruito l'Hōkō-ji, detto anche Asukadera,[4] il più grande complesso templare buddhista costruito in Giappone fino ad allora, e furono intensificati i rapporti commerciali, culturali e diplomatici con i tre regni di Corea e la Cina della dinastia Sui. Vennero inoltre gettate le basi per la nuova amministrazione dello stato, che venne impostata sul modello cinese, influenzato dal pensiero buddhista e confuciano.
Sushun si rese conto di essere una pedina nelle mani di Soga no Umako e ne progettò l'assassinio. Quando questi se ne accorse lo precedette e assoldò il sicario Yamato no Aya no Ataikoma (東漢直駒?), che uccise l'imperatore nel 592.[1]
Ascesa al trono
Alla morte di Sushun, gli succedette la sorellastra Nukatabe, che divenne imperatrice con il nome Suiko, a cui Soga no Umako affiancò l'anno dopo come reggente il principe Umayado, detto anche Shōtoku, nipote di Suiko. Questi sposò Uji no Shitsukai, una delle figlie di Suiko. Ebbe inizio un periodo di pace e prosperità per il Giappone e per la sua corte, logorata da decenni di lotte intestine fra i suoi clan.[4]
A Suiko fu attribuito molto tempo dopo la morte l'attuale titolo imperiale di "sovrano celeste" (tennō?, 天皇), che secondo buona parte della storiografia fu introdotto per il regno dell'imperatore Temmu. Il suo titolo fu "grande regina che governa tutto quanto sta sotto il cielo" (Sumeramikoto o Amenoshita Shiroshimesu Ōkimi?, 治天下大王), oppure anche "grande regina di Yamato" (ヤマト大王/大君).
Quando salì al trono, spostò la capitale dall'odierno distretto di Shiki alla vicina Asuka Kyō, la capitale classica dell' omonimo periodo Asuka. La nuova corte si insediò nel nuovo palazzo Toyura, secondo la tradizione che vedeva di cattivo auspicio per un imperatore giapponese risiedere nello stesso palazzo del defunto predecessore.[1] Nel 603 la corte si spostò ancora, insediandosi a palazzo Owarida, fatto costruire sempre ad Asuka Kyō.
Fu ripresa la strada delle riforme cominciate durante il regno del suo predecessore e vennero raggiunti grandi traguardi, grazie alla fine delle lotte che avevano dilaniato la corte per molti anni. L'amministrazione statale venne rifondata, il buddhismo divenne religione di corte, ebbero un grande sviluppo le arti e gli studi, e gli scambi commerciali e diplomatici con l'estero si moltiplicarono.
Fervente buddhista, poco prima di diventare imperatrice Suiko si era fatta monaca ed aveva trascorso un periodo in monastero. Viene ricordata come una sovrana saggia e giusta, malgrado che le iniziative più importanti fossero state prese da Umayado e Soga no Umako, lei seppe ritagliarsi importanti spazi ed affermare la propria personalità. Affiancò Umayado nella diffusione del buddhismo, prendendo parte alle delibere ad essa relative, come quelle che decretarono la costruzione dei templi.
Il reggente Umayado
Durante il regno di Suiko, il reggente Umayado si rese protagonista di eventi epocali, che avrebbero trasformato il Giappone in un paese moderno, allineandolo ai grandi stati del continente sotto ogni profilo. Le sue opere ispirate dai modelli cinesi e dal pensiero confuciano, che sono riportate negli annali del Giappone Nihongi, fecero di lui uno dei personaggi più amati dai giapponesi. È tuttora venerato come protettore del paese, della casa imperiale e della fede buddhista.
Appena fu nominato reggente, fece costruire il grande complesso templare buddhista Shitennō-ji (四天王寺?), il primo fatto costruire a spese dello stato in Giappone, e tuttora uno dei più famosi del paese. Fu eretto nei pressi del porto imperiale di Naniwa, l'odierna Osaka, per dimostrare ai visitatori d'oltremare lo splendore della corte e del paese intero. Volle che attorno ai templi avessero sede quattro istituzioni (Shika-in?, 四箇院), i nuovi istituti che avevano lo scopo di innalzare il livello di civilizzazione del paese: il Kyōden-in (istituto per la religione e l'istruzione), l'Hiden-in (istituto di assistenza sociale), il Ryōbyō-in (ospedale), ed il Seiyaku-in (farmacia). In seguito, avrebbe fatto costruire altri templi importanti, tra cui l'Hōryū-ji, eretto nei territori della sua famiglia, a Ikaruga.
Fece riorganizzare i ranghi della società, assegnando i più alti in base ai meriti, e non più in base alle discendenze familiari.[6] Nel 604 compilò la costituzione di 17 articoli, che fissava i codici di comportamento di governanti e sudditi nell'ambito di una società buddhista,[7] e che sarebbe rimasta in vigore fino al 1890.[8]
Fu un grande studioso e, dopo aver appreso il sistema di scrittura cinese, lo introdusse a corte.[7] Tra le sue composizioni letterarie spiccano i commenti al Sutra del Loto ed al Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra. Allo scopo di formare la nuova classe dirigente, inviò diplomatici e studenti alla corte dei regnanti Sui cinesi, che approvarono il suo operato e riconobbero lo stato giapponese.
Fu celebre una sua missiva del 607 all'imperatore cinese Sui Yangdi, nel cui indirizzo, oltre a mettere sullo stesso piano l'allora nuovo impero giapponese con quello millenario cinese, compariva per la prima volta l'attuale nome del Giappone (Nihon?, 日本) (origine del sole):
- "Dal sovrano della terra all'origine del sole (nihon/hi izuru) al sovrano della terra al termine del sole."[9]
Umayado morì nel 622, 6 anni prima di Suiko.
Altri eventi del regno di Suiko
Nel 594 Suiko promulgò l'editto dei tre fiorenti tesori, che proclamava il buddhismo religione ufficiale del paese.
Un potente terremoto rase al suolo molte abitazioni nella zona della capitale Asuka Kyō nel 599.[10]
Nel 604 l'imperatrice ordinò l'adozione del calendario cinese.[11]
Nel 624, Suiko rifiutò di concedere un terreno imperiale a Umako no Soga, a conferma dell'autonomia dell'imperatrice dal potente ministro.
Gli ultimi anni del regno
Suiko regnò fino alla morte, avvenuta a palazzo Owarida nel 628, quando aveva 74 anni. Passò gli ultimi anni di vita senza il conforto dei figli, che morirono prima di lei, di Umayado, deceduto nel 622 e di Soga no Umako, deceduto nel 624.
Poco prima di morire chiamò a sé e diede dei consigli ai due principi candidati alla sua successione, Tamura, figlio del primogenito che Bidatsu ebbe con la prima consorte, e Yamashiro, figlio primogenito di Umayado. Non si pronunciò però su chi fosse il suo prescelto.
Dopo la sua morte, avvenuta il 15 aprile del 628, si aprì una lotta tra le due fazioni del clan Soga che appoggiavano i due principi. Ebbe la meglio il principe Tamura, che nel 629 salì al trono con il titolo di imperatore Jomei.
Le spoglie dell'imperatrice Suiko sono tuttora conservate nel mausoleo Shinaga no Yamada no misasagi a lei dedicato, che si trova ad Osaka.[12]
Genealogia
Ebbe i suoi 7 figli quando era la consorte dell'imperatore Bidatsu, 2 maschi e 5 femmine. Tra queste ci furono la principessa Uji no Shitsukahi, che sposò il principe Umayado, e la principessa Tame, che divenne la seconda consorte dell'imperatore Jomei.
Note
- ^ a b c Varley, H. Paul: Jinnō Shōtōki: A Chronicle of Gods and Sovereigns. pag.126. Columbia University Press. New York, 1980. 10-ISBN 0-231-04940-4; 13-ISBN 978-0-231-04940-5
- ^ (EN) Papinot, Edmond: "Moriya" Historical and geographical dictionary of Japan. Vol.1 pag.402. Libreria Sansaisha. Tokyo, 1910
- ^ Samson, George pagg. 49-50
- ^ a b c d Martin, John et al. (1993). Nara: A Cultural Guide to Japan's Ancient Capital, p. 121; Aston, William. (2005). Nihongi, p. 101.
- ^ Titsingh, Isaac. pag. 38-39; Brown, Delmer
- ^ (JA) Yoshimura, Takehiko: Kodai Ōken no Tenkai (古代王権の展開), pag. 126. Shūeisha, 1999]
- ^ a b (EN) Shotoku's Seventeen-Article Constitution - Jushichijo Kenpo www.sarudama.com
- ^ Aston, William George
- ^ Varley, Paul. (1973). Japanese Culture: A Short History. pag. 15
- ^ (EN) Hammer, Joshua: Yokohama Burning: The Deadly 1923 Earthquake and Fire that Helped Forge the Path to World War II, pagg. 62-63. 2006
- ^ Nussbaum, Louis-Frédéric.: Jikkan Jūnishi in Japan Encyclopedia.. pag. 420
- ^ Ponsonby-Fane, pag. 420
Bibliografia
- (EN) Aston, William George: Nihongi: Chronicles of Japan from the Earliest Times to A.D. 697.. Kegan Paul, Trench, Trubner. Londra
- (EN) Brown, Delmer M. e Ichirō Ishida: Gukanshō: The Future and the Past. Berkeley: University of California Press. 1979 10-ISBN 0-520-03460-0; 13-ISBN 978-0-520-03460-0; OCLC 251325323
- (EN) Ponsonby-Fane, Richard Arthur Brabazon: The Imperial House of Japan.. Ponsonby Memorial Society. Kyoto
- (FR) Titsingh, Isaac. (1834). Nihon Odai Ichiran; e Annales des empereurs du Japon.. Royal Asiatic Society, Oriental Translation Fund of Great Britain and Ireland. Parigi
- (EN) Varley, H. Paul: Jinnō Shōtōki: A Chronicle of Gods and Sovereigns.. Columbia University Press. New York 1980. 10-ISBN 0-231-04940-4; 13-ISBN 978-0-231-04940-5
- (EN) Samson, George Bailey: A History of Japan to 1334. Stanford University Press, 1958. ISBN 0804705232;
Il portale Donne nella storia non esiste