Primavera araba
Proteste nel Nordafrica e Medio Oriente del 2010-2011 | |
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Le proteste nel Nordafrica e Medio Oriente del 2010-2011, comunemente generalizzate con il termine 'Primavera Araba'[1], sono una serie di tumulti e agitazioni attualmente in corso, in atto nelle regioni del medio oriente e vicino-oriente e del nord Africa. I paesi maggiormente coinvolti ad oggi dai sommovimenti sono Algeria, Bahrein, Egitto, Tunisia, Yemen, Giordania, Gibuti, Libia e Siria, mentre incidenti minori sono avvenuti in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco e Kuwait.[2][3][4]
Contesto
Le proteste, che hanno colpito paesi riconducibili in vario modo all'universo arabo ma anche esterni a tale circoscrizione come nel caso della Repubblica Islamica dell'Iran, hanno in comune l'uso di tecniche di resistenza civile, comprendente scioperi, manifestazioni, marce e cortei, talvolta anche atti estremi come suicidi (divenuti noti tra i media come "auto-immolazioni") e l'autolesionismo, così come l'uso di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare gli eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale.[5][6][7] I social network tuttavia non sarebbero il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali "il network della moschea, o del bazar, conta assai più dì Facebook, Google o delle email".[8][9] Alcuni di questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato ad un cambiamento di governo, e sono stati denominati rivoluzioni.[10][11]
I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono, tra le maggiori cause, la corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e le condizioni di vita molto dure, che in molti casi riguardano o rasentano la povertà estrema.[12] Il crescere del prezzo dei generi alimentari e della fame sono anche considerati una delle ragioni principali del malcontento, che hanno comportato minacce all'equilibrio mondiale in ordine all'alimentazione di larghe fasce della popolazione nei paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste, ai limiti di una crisi paragonabile a quella osservata nella crisi alimentare mondiale nel 2007-2008.[13][14][15][16] Tra le cause dell'aumento dei costi, secondo Abdolreza Abbassian, capo economista alla FAO, la "siccità in Russia e Kazakistan accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina", a causa di cui i governi dei paesi del Maghreb, costretti ad importare i generi commestibili, hanno scelto l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo.[17] Altri analisti hanno messo in risalto il ruolo della speculazione finanziaria nel determinare la crescita del prezzo dei generi alimentari in tutto il mondo.[18] Prezzi più alti si sono registrati anche in Asia: in India dove ci sono stati rialzi nell'ordine del 18%, mentre in Cina dell'11,7% in un anno.[17]
Le proteste sono cominciate il 18 dicembre 2010 in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia, il cui gesto è servito da scintilla per l'intero moto di rivolta che si è poi tramutato nella cosiddetta "rivoluzione dei gelsomini".[19][20] Per le stesse ragioni, un effetto domino si è propagato ad altri paesi del mondo arabo e della regione del Nordafrica, in seguito alla protesta tunisina. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali ha preso avvio la rivolta, sono stati chiamati "giorno della rabbia" o con nomi simili.[21][22]
Ad oggi, due capi di stato sono stati costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali il 14 gennaio e in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio.[23][24] I sommovimenti in Tunisia hanno portato il presidente Ben Ali, alla fine di 12 anni di dittatura, alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio, dopo 18 giorni di continue dimostrazioni accompagnate da vari episodi di violenza, hanno costretto alle dimissioni, complici anche le pressioni esercitate da Washington, il presidente Mubarak dopo trent'anni di potere.[25] Nello stesso periodo, il re di Giordania Abdullah attua un rimpasto ministeriale e nomina un nuovo primo ministro, con l’incarico di preparare un piano di "vere riforme politiche".[26]
Sia l'instabilità portata dalle proteste nella regione mediorientale e nordafricana che le loro profonde implicazioni geopolitiche hanno attirato grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo.[27]
Proteste per paese
Tunisia
Le proteste nel paese iniziano dopo il gesto disperato di un ambulante, Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010 si dà fuoco per protestare contro il sequestro da parte della polizia della sua merce.[28] Il 27 dicembre il movimento di protesta si diffonde anche a Tunisi, dove giovani laureati disoccupati manifestano per le strade della città e vengono colpiti dalla mano pesante operata dalla polizia.[28]
Nonostante un rimpasto di governo il 29 dicembre, le rivolte nel paese non si placano.[28] Il 13 gennaio il presidente tunisino Ben Ali in un intervento sulla tv nazionale si impegna a lasciare il potere nel 2014 e promette che garantirà la libertà di stampa. Il suo discorso però non calma gli animi e le manifestazioni continuano.[28] Meno di un’ora dopo decreta lo stato d’emergenza e impone il coprifuoco in tutto il Paese.[28] Poco dopo il primo ministro Mohamed Ghannouchi dichiara di assumere la carica di presidente ad interim fino alle elezioni anticipate.[29]In serata viene dato l’annuncio che Ben Ali, dopo ventiquattro anni al potere, ha lasciato il Paese.[30]
A fine febbraio alcune decine di migliaia di manifestanti si radunano nel centro di Tunisi per chiedere le dimissioni del governo provvisorio, insediatosi dopo la cacciata dell'ex presidente Zine el-Abidine Ben Ali.[31]
Egitto
In seguito ai diversi casi di protesta estrema che hanno visto darsi fuoco diverse persone a gennaio, il 25 gennaio violenti scontri si sviluppano al centro del Cairo, con feriti ed arresti, durante le manifestazioni della "giornata della collera" convocata da opposizione e società civile contro la carenza di lavoro e le misure repressive.[32] I manifestanti contrari al regime di Mubarak invocano la liberazione dei detenuti politici, la liberalizzazione dei media, e sostengono la rivolta contro la corruzione e i privilegi dell'oligarchia.
Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenzia il governo e nomina come suo vice l’ex capo dell’intelligence, Omar Suleiman. Proseguono tuttavia gli scontri e le manifestazioni nelle città egiziane.[33] Il 5 febbraio intanto si dimette l’esecutivo del Partito nazionale democratico di Mubarak, mentre il rais alcuni giorni dopo delega tutti i suoi poteri a Suleiman.[33] L'11 febbraio il vice presidente annuncia le dimissioni di Mubarak mentre oltre un milione di persone continuano a manifestare nel paese.[34] L'Egitto è lasciato nelle mani di una giunta militare, presieduta dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, in attesa che venga emendata la costituzione e che venga predisposta la convocazione di prossime elezioni presidenziali.[35][36]
Libia
Il 16 febbraio si verificano nella città di Bengasi scontri fra manifestanti,scontenti per l'arresto di un attivista dei diritti umani,e la polizia, sostenuta da militanti del governo. In tutto il Paese, nel frattempo, secondo i media ufficiali, si tengono manifestazioni a sostegno del governo del leader Mu'ammar Gheddafi.[37]
Il 17 febbraio si registrano numerosi morti in accesi conflitti a Bengasi, città simbolo della rivolta libica che intende attuare la cacciata del capo del paese al potere da oltre quarant'anni. Testimoni riferiscono inoltre che sarebbero avvenute vere e proprie esecuzioni da parte delle forze di polizia.[38]Nella data del 17 febbraio, proclamata la "giornata della collera", milizie giunte da Tripoli a Beida, nell'est della Libia colpiscono i manifestanti causando morti e numerosi feriti.[39]
Molti dei decessi registrati in Libia risultano concentrati nella sola città di Bengasi, località tradizionalmente poco fedele al leader libico e più influenzata dalla cultura islamista.[40] Il 20 febbraio il bilancio delle vittime si avvicina ai 300 morti.[41] Il sito informativo libico "Libya al-Youm" denuncia che "i militari inviati dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino" come razzi Rpg e armi anti-carro.[41]
Il 21 febbraio la rivolta si allarga anche alla capitale Tripoli dove i contestatori danno fuoco a edifici pubblici.[42] Nella stessa giornata a Tripoli si fa ricorso a raid dell'aviazione sui manifestanti per soffocare la protesta.[43] Il 21 febbraio la delegazione libica all’Onu prende nettamente le distanze dal leader Muammar Gheddafi. Il vice-ambasciatore libico, Ibrahim Dabbashi, a capo della squadra diplomatica libica, accusa il colonnello di essere colpevole di "genocidio" e di aver praticato "crimini contro l’umanita".[44]
Altri paesi del mondo arabo
- Proteste in Algeria del 2010-2011
- Proteste in Arabia Saudita del 2011
- Proteste in Bahrain del 2011
- Proteste a Gibuti del 2011
- Proteste in Giordania del 2011
- Proteste in Iraq del 2011
- Proteste in Kuwait del 2011
- Proteste in Libano del 2011
- Proteste in Marocco del 2011
- Proteste in Mauritania del 2011
- Proteste in Oman del 2011
- Proteste nel Sahara Occidentale del 2011
- Proteste in Siria del 2011
- Proteste in Sudan del 2011
- Proteste nello Yemen del 2011
Altri paesi
Note
- ^ http://www.tracce.it/?id=376&id_n=21310&pagina=1
- ^ Francesca Paci, L'onda non si ferma: dallo Yemen alla Giordania, dal Marocco alla Siria, in La Stampa, 1º febbraio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ RIVOLTE M.O. E NORDAFRICA: DALLA CADUTA DI BEN ALI ALL'IRAN (SERVIZIO), in ASCA, 15 febbraio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ La mappa della protesta, in RaiNews24, 19 febbraio 2011. URL consultato il 21-02-2011.
- ^ (EN) Lawrence Pintak, Arab media revolution spreading change, in CNN, 29 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ Algeria: tre disoccupati si danno fuoco seguendo esempio tunisini, in Adnkronos/Aki, 16http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Proteste_nel_Nordafrica_e_Medio_Oriente_del_2010-2011&action=edit§ion=1 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ Marco Hamam, Egitto in rivolta: il risveglio del gigante, in Limes, 29 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ "LE RIVOLTE NON SI FERMERANNO MA I DITTATORI SARANNO SPIETATI", in Governo Italiano RassegnaStampa, 21 febbraio 2011. URL consultato il 21-02-2011.
- ^ Redazione, «Macché Twitter, i ribelli sono islamisti» – D. Scalea a “Il Secolo d’Italia”, in eurasia-rivista.org, 15 giugno 2011. URL consultato il 26-09-2011.
- ^ Roberto Santoro, Il vecchio Egitto del golpe militare e il nuovo della rivoluzione liberale, in L'Occidentale, 14 febbraio 2011. URL consultato il 16-2-2011.
- ^ (EN) ARAB WORLD: How Tunisia's revolution transforms politics of Egypt and region, in Los Angeles Times, 29 gennaio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
- ^ Korotayev A., Zinkina J. Egyptian Revolution: A Demographic Structural Analysis. Entelequia. Revista Interdisciplinar 13 (2011): 139–65.
- ^ Laura Bottazzi, Rony Hamaui, I veri perché della rivoluzione egiziana, su lavoce.info, 08-02-2011. URL consultato l'08-02-2011.
- ^ Rivolta del couscous in Algeria. Violenti scontri nella capitale per i rincari sui generi alimentari, in ilsole24ore, 07 gennaio 2011. URL consultato il 04-03-2011.
- ^ Carlo Giorgi, «Povertà e corruzione: il clima era insostenibile», su ilsole24ore.com, Il sole240re, 01-02-2011. URL consultato il 12-02-2011.
- ^ (EN) Mark John, INTERVIEW-Arab protests show hunger threat to world-economist, su af.reuters.com, Reuters, 12-02-2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ a b Vittorio Da Rold, Scoppiano in Algeria le proteste del couscous, in ilsole24ore, 07 gennaio 2011. URL consultato il 04-03-2011.
- ^ Pietro Longo, Daniele Scalea, Capire le rivolte arabe, IsAG/Avatar, 2011, pp. 41-45
- ^ (EN) Yasmine Ryan, The tragic life of a street vendor, in Al Jazeera, 20 gennaio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
- ^ (EN) KAREEM FAHIM, http://www.nytimes.com/2011/01/22/world/africa/22sidi.html?pagewanted=1&_r=1&src=twrhp, in New York Times, 21 gennaio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
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- ^ Giornata della rabbia in Bahrein: scontri e feriti, in Il Messaggero, 14 febbraio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
- ^ Mubarak si dimette, Cairo in festa Poteri passano in mano ai militari, in Adnkronos/Aki, 11 febbraio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
- ^ In Tunisia vince la rivolta. Ben Ali fugge in Arabia Saudita, poteri al premier Ghannouchi, in IlSole24ore, 15 gennaio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
- ^ VITTORIO EMANUELE PARSI, Alla fine ha vinto Obama, in La Stampa, 12 febbraio 2011. URL consultato il 12-02-2011.
- ^ Re Abdullah di Giordania cambia governo, e ordina vere riforme politiche, in ASIANews, 02 febbraio 2011. URL consultato il 20-2-2011.
- ^ Mattia Toaldo, Il dittatore se n’è andato. E ora?, in Limes, 11 febbraio 2011. URL consultato il 12-02-2011.
- ^ a b c d e La sommossa tunisina in un instant ebook, in Skytg24, 12 febbraio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
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- ^ Tunisia: Ben Ali lascia il Paese, in ANSA, 14 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ Tunisia: decine di migliaia in piazza, chiedono dimissioni governo, in Adnkronos/Aki, 25 febbraio 2011. URL consultato il 26-02-2011.
- ^ Egitto, scontri al centro del Cairo, in ANSA, 25 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ a b Redazione, Le tappe della rivolta, in ilGiornale, 11 febbraio 2011. URL consultato il 20-02-2011. Errore nelle note: Tag
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non valido; il nome "tapprivoilgiorn" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ Redazione online, Mubarak si è dimesso, la piazza in festa, in Corriere della Sera, 11 febbraio 2011. URL consultato l'11-02-2011.
- ^ Egitto: militari, gestione per sei mesi, in ANSA, 13 febbraio 2011. URL consultato il 16-02-2011.
- ^ Niccolò Locatelli, Egitto anno zero, in Limes, 14 febbraio 2011. URL consultato il 16-02-2011.
- ^ Libia, scontri a Bengasi, in ANSA, 16 febbraio 2011. URL consultato il 18-02-2011.
- ^ Libia: al Jazira, 6 morti in scontri, in ANSA, 17 febbraio 2011. URL consultato il 18-02-2011.
- ^ Libia: ong, 15 morti a Beida, in ANSA, 17 febbraio 2011. URL consultato il 18-02-2011.
- ^ Lucio Caracciolo, IL COLONNELLO NEL LABIRINTO, in Governo Italiano Rassegna stampa, 19 febbraio 2011. URL consultato il 19-02-2011.
- ^ a b E' strage in Libia: quasi 300 morti, in Adnkronos/Aki/Ign, 20 febbraio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
- ^ Libia, in fiamme sede del governo a Tripoli A Bengasi polizia si unisce ai manifestanti, in Adnkronos/Aki/Ign, 21 febbraio 2011. URL consultato il 21-02-2011.
- ^ Bombardamenti sulla folla a Tripoli, in Skytg24, 21 febbraio 2011. URL consultato il 21-02-2011.
- ^ Caos Libia, la delegazione Onu volta le spalle a Gheddafi: “Genocida”, in Blitzquotidiano, 21 febbraio 2011. URL consultato il 23-02-2011.
Altri progetti
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- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su primavera araba
Collegamenti esterni
- (EN) Amr Hamzawy, Protest Movements and Political Change in the Arab World (PDF), January 2011.
- (EN) Schwerpunkt The Arab wall begins to fall, Le Monde diplomatique 2/2011
- (EN) Nada Bakri: Street Battle Over the Arab Future, Nytimes.com, 2 febbraio 2011.
- (EN) Slavoj Žižek: Why fear the Arab revolutionary spirit?, guardian.co.uk, 1º febbraio 2011.
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