Merope (Maffei)
Merope | |
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in 5 atti | |
Autore | Scipione Maffei |
Titolo originale | Merope |
Lingua originale | |
Genere | dramma |
Composto nel | 1713 |
Prima assoluta | 1713 a Modena |
Personaggi | |
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Merope è una tragedia in versi sciolti in lingua italiana del marchese Scipione Maffei (1675-1755), che venne rappresentata per la prima volta a Modena nel 1713. Apparsa subito dopo il periodo di stagnazione del XVII secolo delle lettere italiane, ottenne un vasto successo in tutta Europa. Ebbe più di sessanta edizioni e fu ampiamente tradotta (in Francia, fu ripresa da Voltaire). Sui palcoscenici ottenne un successo senza precedenti ed esercitò una forte influenza sullo sviluppo del teatro italiano.
Soggetto
Il soggetto della trama è tratto dalla mitologia greca, come riferito da Apollodoro (II, 8-5) e Pausania (IV, 3-6). Merope è la regina messena il cui marito, Cresfonte, e i due figli sono stati assassinati dal suo cognato, Polifonte, che usurpa il potere reale e tenta di forzare la regina a sposarlo. Sulla storia di Merope Euripide scrisse una tragedia andata perduta.
Trama
Atto primo
Messene: Il malvagio Polifonte, tiranno odiato dal popolo, chiede in sposa Merope, la vedova del precedente sovrano Cresfonte, re buono e benvoluto che lui stesso aveva fatto assassinare quindici anni prima assieme a due dei suoi tre figlioletti. Polifonte spera, attraverso le nozze con colei che, regina, fu da tutti amata, di rafforzare le redini del potere abbattendo ogni residuo ostacolo. Per quanto Merope, sdegnata, rifiuti la proposta, si ritrova costretta ad accettarla, pena l'uccisione degli amici e dei fidati servi Ismene ed Euriso.
Atto secondo
In cuor suo, tuttavia, Merope coltiva da molti anni una speranza: Cresfonte, il terzo figlio, era riuscito a scampare al massacro di quindici anni prima. La madre lo aveva affidato al servo Polidoro perché questi lo tenesse nascosto in una remota regione della Messenia. La donna lo aveva spacciato per morto attendendo che raggiungesse la maggiore età e detronizzasse l'usurpatore.
Improvvisamente Adrasto, il servo di Polifonte, giunge in città portando con sé Egisto, un giovane che ha appena ucciso un ladrone alle porte di Messene, difendendosi da un'aggressione. Merope, ravvisando nel ragazzo un portamento familiare e una sincerità d'intenti, riesce a ottenere che non venga punito.
Subito dopo, però, viene colta da un atroce sospetto: Polifonte, che aveva sempre dubitato della morte del piccolo Cresfonte, potrebbe essere stato il mandante dell'omicidio, e in questo caso la vittima sarebbe proprio il figlio di Merope. La facilità con cui ha acconsentito alla grazia sembrerebbe in effetti comprovarlo. Quando Euriso decide di parlare con Adrasto per carpire la verità, scopre che l'ucciso portava con sé un anello d'oro (ma Adrasto mente, dato che il gioiello apparteneva ad Egisto). Merope riconosce l'oggetto prezioso: è quello che aveva lasciato a Polidoro quindici anni prima.
Atto terzo
Piombata nella disperazione, la donna, senza più nulla da perdere, brama la vendetta e decide di uccidere Egisto, colpevole di averla privata dell'unica e ultima ragione di vita. Mentre si diffonde la voce dell'uccisione di Cresfonte, Merope tenta di assassinare una prima volta il ragazzo, assistita dalla complicità di Ismene. Il giovane viene salvato dall'intervento regio, e Polifonte impone le nozze per l'indomani.
Atto quarto
Merope è decisa a uccidersi durante la celebrazione, ma prima tenta nuovamente di mettere in atto il piano omicida. Durante la notte, alza il pugnale per trafiggere Egisto dormiente; l'intervento di Polidoro, giunto in città alla ricerca del figlio, lo salva dalla morte per la seconda volta. È il momento dell'agnizione: Polidoro rivela la vera identità di Egisto, dimostrando che l'anello d'oro apparteneva a lui. Anche il giovane può così apprendere la sua storia, che Polidoro aveva tenuta nascosta sino a quel momento. Nel giovane nasce il desiderio di vendicare il padre e i fratelli.
Atto quinto
Durante la celebrazione delle nozze tra Polifonte e Merope Egisto uccide il re e Adrasto. Alcuni popolani, presi dal panico, tentano di avvicinare l'aggressore, che viene difeso dalla madre, la quale rivela alla folla l'identità del regicida. Messene è stata liberata dall'oppressore: Cresfonte può così mostrarsi al popolo festante.
Valore dell'opera
Ritenuta per molto tempo il miglior esempio di tragedia italiana prima di Alfieri e un modello da studiare ed imitare, questa tragedia fu in realtà un'opera scritta a tavolino, ma ha il merito di equilibrare le esigenze di decoro classico con quelle di una azione e di un linguaggio scorrevoli, secondo il gusto arcadico. Maffei è stato il primo drammaturgo moderno a gestire il materiale e rivelare le sue possibilità superbe. Egli distribuisce l'elemento amoroso così prevalente in quel momento nel teatro francese e dimostra che senza di esso un lavoro teatrale non è in grado di conservare l'attenzione dello spettatore. La sua idea è che si deve rappresentare, però, una sola passione, in questo caso l'amore di una madre per suo figlio. La scena (III, 4) in cui Merope, credendo di aver colto l'uccisore di Cresfonte, scopre in lui il suo stesso figlio, la transizione dalla rabbia e dalla vendetta alla sorpresa e all'amore materno è profondamente impressionante. La morte del tiranno (V, 6), ai piedi dell'altare è ugualmente efficace.
Voltaire e Alfieri si ispirarono all'opera maffeiana per le loro omonime tragedie.
Dispute
Ci fu un violento scontro letterario all'epoca fra il Maffei e Voltaire, poiché quest'ultimo aveva attinto molto, come d'altronde fece poi Vittorio Alfieri, nel comporre la propria Merope. Voltaire, come era uso all'epoca, fece finta di difendere il letterato italiano per poi invece colpirlo fortemente in modo indiretto.
Edizioni
La tragedia apparve in stampa nel 1730 assieme ad altre opere del Maffei nel volume curato da Giulio Cesare Becelli, Teatro del sig. Marchese Scipione Maffei cioè la tragedia la comedia e il drama non più stampato aggiunta la spiegazione d'alcune antichità pertinenti al Teatro, In Verona: per Gio. Alberto Tumermani librajo, 1730.
Un'edizione per la scuola, a cura di AC Clapin, è stata pubblicata a Londra nel 1890. Il testo, con variazioni e un'introduzione, è apparsa successivamente nel n° 108 del Bibliotheca Romanies.