Hohenstaufen
Hohenstaufen Staufen/Staufer | |
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D'oro ai tre leoni passanti di nero disposti in palo. | |
Stato | Ducato di Svevia Sacro Romano Impero Regno di Sicilia Regno d'Italia Franca Contea Giudicato di Torres |
Titoli | Duca di Svevia (1079-1268) Imperatore del Sacro Romano Impero (1138-1254) Re di Sicilia (1194-1266) Re d'Italia (1128-1197) Conti della Franca Contea di Borgogna (1190-1231) Giudici di Torres (1238-1246) |
Fondatore | Federico I di Svevia |
Ultimo sovrano | Manfredi/Corradino |
Data di fondazione | 1079 |
Data di estinzione | 1268 |
Etnia | tedesca |
Gli Hohenstaufen (o anche Staufer o Staufen) furono una famiglia nobile originaria della Svevia (nell'attuale Germania).
Il nome "Hohenstaufen", che significa letteralmente "Alto Staufen", ha origine nel XIV secolo, quando fu usato per la prima volta per distinguere la collina chiamata Staufen (Alpi sveve), dal villaggio omonimo nella valle sottostante. Il nome "Staufen" deriva da ex stouf che significa "il calice", ed è stata usata nel Medio Evo per indicare i colli conici in Svevia. La famiglia deve il proprio nome dal loro primo castello, che venne costruito lì nella seconda metà dell'XI secolo (chiamato appunto Hohenstaufer per distinguerlo dagli altri).
La vicenda politica del casato Hohenstaufen ebbe inizio nel 1079 con il conferimento a Federico il Vecchio del titolo di duca di Svevia. Nel 1138 il figlio Corrado fu eletto imperatore del Sacro Romano Impero dalla dieta di Coblenza.
Il casato manterrà il titolo imperiale con Corrado III (1138-1152), Federico I Barbarossa (1155-1190), Enrico VI (1191-1197), Federico II (1220-1250) e Corrado IV (1250-1254). Gli ultimi tre imperatori furono anche re di Sicilia.
La casata degli Hohenstaufen si estinse in linea maschile diretta con Manfredi e Corradino di Svevia, autori di due tentativi falliti di riconquistare il trono imperiale nel 1266 e 1268. Attraverso la discendenza di Costanza, figlia di Manfredi, i sovrani d'Aragona rivendicarono la successione al trono di Sicilia. Oggi, per via femminile, molte tra le maggiori dinastie europee possono rivendicare una discendenza dalla casata degli Hohenstaufen.
Genealogia di Svevia
Discendenti di Federico di Büren († 1094)
Blasone
La prima o, comunque, una delle prime figure araldiche adottate dagli Hohenstaufen per le proprie insegne fu quella del leone, o, meglio, dei leoni passanti, poiché, in seguito a evoluzioni e implementazioni degli elementi componenti l'arme staufica, il numero degli animali araldici fu fissato a tre. Essi, di smalto nero o, in alternativa, rosso, erano disposti in palo in campo d'oro o, in talune versioni, d'argento[1][2].
A rappresentare la dignità imperiale degli Staufen, fu introdotta, poi, un'ulteriore insegna, ovvero un'aquila al volo abbassato di nero posta in campo d'oro o d'argento, con il primo metallo che finì con il prevalere sul secondo. Siffatta arme, che doveva rappresentare la continuità tra l'Impero romano e l'Impero germanico, divenne emblema degli imperatori tedeschi, non solo per gli Hohenstaufen, ma anche per le successive dinastie[3][4].
Fissato l'oro per il campo dell'insegna imperiale, l'argento non cadde in disuso, ma fu ripreso quale metallo distintivo della dignità reale della casata staufica. L'aquila al volo abbassato di nero, posta in campo d'argento, infatti, divenne lo stemma del Regno di Sicilia[5], sebbene le fonti non concordino in merito al sovrano che statuì in tal senso. Secondo una tesi consolidata, l'iniziativa sarebbe da attribuire a Manfredi[6], ma altri autori sostengono che, già con Federico II, l'aquila siciliana cominciò ad assumere identità e peculiarità proprie, che la differenziano dall'arme imperiale[7].
Sempre allo stupor mundi è attribuito l'utilizzo, quale insegna per l'Impero, dell'aquila bicipite di nero in campo d'oro[8]. In particolare, fu il benedettino e cronista inglese Matteo Paris a riportare, nelle sue maggiori opere, la Chronica Majora e l'Historia Anglorum, miniature recanti l'aquila a due teste, sia per Federico II, sia per alcuni dei suoi discendenti[9]. Un particolare stemma con aquila bicipite, infine, è associato agli Hohenstaufen in alcune delle tavole a corredo dell'Historia della Città e Regno di Napoli, dello storico napolitano Giovanni Antonio Summonte[10]. L'aquila, infatti, reca, caricato in cuore, uno scudetto, il quale, con capo troncato cuneato da parte a parte, è interzato in palo, con, nel primo terziere, tre pini o pigne male ordinate, nel secondo, tre leoni passanti, e, nell'ultimo, la croce di Gerusalemme[11].
Gli imperatori svevi
Con Enrico V si era estinta nel Sacro Romano Impero la dinastia salica. I nobili tedeschi non riuscivano a trovare un accordo sulla successione e si delinearono due fazioni principali opposte: una favorevole ai duchi di Baviera detta dei guelfi (da un Welf capostipite della dinastia bavarese) e una favorevole ai duchi di Svevia detta "ghibellina" da Weiblingen, un castello degli Hohenstaufen che avevano il Ducato di Svevia grazie al favore di Enrico IV. In un primo momento prevalsero i bavaresi, con l'assegnazione della corona a Lotario di Supplimburgo, duca di Sassonia, che regnò dal 1125 al 1137. I tedeschi però non approvarono la sua politica troppo arrendevole nei confronti di Innocenzo II al quale cedette i diritti sull'eredità di Matilde di Canossa, che essa aveva illegittimamente lasciato alla Chiesa, essendo essa feudataria e quindi inabilitata a trasmettere i feudi ereditariamente.
Nel 1137 quindi i nobili tedeschi appoggiarono l'ex avversario di Lotario, Corrado di Svevia, il quale non fu giudicato all'altezza dell'incarico dopo il disastro della seconda crociata. Alla sua scomparsa (1152) venne dunque scelto il suo giovane nipote, Federico, duca di Svevia, poi noto in Italia come il "Barbarossa". Egli sembrava essere il candidato ideale anche perché imparentato da parte di madre con i duchi di Baviera, quindi legato a entrambe le fazioni.
Federico I
Federico cominciò infatti una politica conciliante, lasciando un ampio spazio alla nobiltà e avvalendosi dell'appoggio del suo cugino Enrico il Leone, il quale aveva riunito nelle sue mani i due ducati di Baviera e di Sassonia. I primi provvedimenti di Federico (1152-1154) furono tutti rivolti alla Germania, la cui nobiltà laica ed ecclesiastica venne spesso convocata in assemblee (le diete). Egli cominciò a piegare le forze a lui avverse, confiscando terreni che dava ad amministratori di origine servile, i quali, grati dell'appoggio dimostrato dal sovrano, ottennero prestigio e potere e divennero una nuova aristocrazia ministeriale a lui fedelissima.
Dopo il 1154 decise di scendere in Italia per essere incoronato, arrivando a Roma nel 1155. Qui represse su richiesta del papa il nascente comune e ne consegnò l'animatore, Arnaldo da Brescia, al pontefice, che lo fece ardere al rogo. Dopo l'incoronazione Federico decise di cominciare a imporre la propria volontà ai comuni italiani, convocando due diete a Roncaglia (nel 1154 e ancora 1158). Durante la seconda dieta di Roncaglia emise la constitutio de regalibus, dove stabiliva quali erano i diritti del Re d'Italia (titolo che faceva parte della sua corona) che i comuni avevano usurpato (soprattutto diritti di esazione di imposte, pedaggi, dazi sui ponti, sui mulini, sulle strade, diritti di tener tribunale e di batter moneta). I fondamenti giuridici di tali rivendicazioni vennero offerti dalla recente ma già importante scuola giuridica dell'Università di Bologna (ricompensata dall'Imperatore con la sua protezione), che attinse, riportandolo in Europa, al diritto romano nella codificazione voluta da Giustiniano I: la loro concezione si compendiava nella affermazione quod principi placet legis habet vigorem, vale a dire che “quanto è approvato dal sovrano, ha valore di legge”.
Questa politica procurò a Federico l'inimicizia dei comuni dell'Italia settentrionale, capeggiati da Milano. Inoltre era salito al soglio pontificio Alessandro III, che si era alleato con l'imperatore bizantino Manuele Comneno in funzione anti-germanica. Federico aveva cercato di ostacolare questa elezione ed era arrivato a far eleggere un antipapa, cosa che alla fine gravò sul suo prestigio futuro.
I Comuni italiani, che ormai si erano spinti molto avanti in quanto a indipendenza dall'impero, non gradirono l'invio di podestà scelti dall'imperatore, né atti di forza come la distruzione di Milano del 1162 ed ebbero inizio le prime ribellioni: la Lega Veronese del 1164 diventata poi lega lombarda, appoggiata anche da Venezia, nel 1167. Poiché l'equilibrio in Germania si stava incrinando per il perdurare dello scisma dell'antipapa Vittore IV e per la politica eccessivamente indipendente di Enrico il Leone, il Barbarossa non poteva concentrarsi sull'Italia e quando vi scese riportò una sonora sconfitta nella battaglia di Legnano del 1176. In quel momento l'Imperatore sembrava avere nemici su tutti i fronti (i Comuni, il papa, alcuni prìncipi tedeschi, l'Imperatore bizantino e il normanno re di Sicilia), per questo egli capì di doversi dedicare intanto a rompere il fronte troppo compatto degli avversari. Si accordò allora col papa a Venezia (1177), ponendo fine allo scisma. I Comuni, privati dell'appoggio pontificio, cercarono allora una tregua, che poi divenne la pace di Costanza del 1183: essi ottennero l'autonomia sostanziale, ma formalmente essi dovettero accettare la sottomissione all'Impero. In seguito Federico si accordò col re di Sicilia combinando il matrimonio tra suo figlio Enrico e la figlia di re Ruggero, Costanza d'Altavilla, celebrato nel 1186.
A questo punto Federico si dedicò di nuovo alla Germania, dove Enrico il Leone faceva una politica del tutto indipendente da lui e lo aveva tradito negandogli l'aiuto a Legnano. Nel 1180 Federico lo mise al bando, con una doppia condanna sia da un tribunale feudale sia dalla dieta. Enrico si sottomise nel 1181, recuperò alcuni beni allodiali, ma Federico da allora si rifiutò di reintegrarlo nella scala feudale.
Il passo successivo del Barbarossa sarebbe stato a rigor di logica diretto a Bisanzio, e infatti partì nella terza crociata, ma morì per cause pare naturali in Anatolia durante la marcia verso Gerusalemme.
Enrico VI
Per la felice politica matrimoniale, il figlio di Federico, Enrico VI aveva ottenuto anche la corona di Sicilia. Ma se da parte germanica non vi furono contestazioni alla sua elezione, nel Mezzogiorno d'Italia egli fu conteso dal duca normanno Tancredi di Lecce. Ma, con la morte di Tancredi e anche di un altro pretendente, Riccardo Cuor di Leone (che vantava parentele sia con Enrico il Leone sia con i normanni, dopo il matrimonio di sua sorella con Guglielmo II di Sicilia) la situazione sembrò quietarsi. Nel Natale del 1194 Enrico venne incoronato a Palermo e il giorno dopo, a Jesi, veniva alla luce il suo erede Federico Ruggero, che nel nome aveva già il ricordo dei monarchi dei due regni.
Fu fin da allora chiaro come Enrico stesse cercando di trasformare la corona imperiale in un titolo ereditario per la dinastia sveva, sollevando le proteste dei nobili tedeschi, dei comuni e del papa. Enrico morì a soli trent'anni per un banale incidente lasciando il figlio di appena tre anni.
Dopo la parentesi di Ottone IV Federico fu eletto.
Federico II
Alla morte di Enrico VI, il figlio Federico, a soli quattro anni, fu proclamato re di Sicilia (1198) sotto la reggenza della madre, Costanza d'Altavilla. Costanza, vedova di Enrico VI, riconobbe la signoria feudale del papa, con il quale concluse un concordato rinunziando all'impero per conto di Federico e affidando al papa la reggenza per il figlio e poco dopo morì.
Appoggiato dal papa, che per arginare l'eccessiva potenza del regno di Germania si era fatto promettere che egli non avrebbe mai riunito le corone di Germania e di Sicilia, nel 1212 Federico fu eletto re di Germania e, nel 1220, fu consacrato imperatore da papa Onorio III, dopo aver promesso di tenere fede agli impegni assunti con il suo predecessore.
Avendo poi disatteso le promesse di partecipazione alle crociate, fu scomunicato dal nuovo papa Gregorio IX, ma nel 1228 guidò una spedizione in Terrasanta e con un accordo diplomatico ottenne la restituzione di Gerusalemme (quinta crociata).
Raffinato e moderno uomo di cultura, oltre che abile politico e esperto diplomatico, lasciò in Germania larga autonomia ai grandi feudatari, rivolgendo il suo interesse soprattutto all'Italia meridionale. Valendosi di validi collaboratori e di una solida e rinnovata burocrazia, diede al regno di Sicilia un nuovo assetto amministrativo ed economico, combatté le autonomie dei vescovi, dei baroni e delle città, fondò un'importante università a Napoli (1224) e stabilì la sua corte, ricca e raffinata, a Palermo. Qui, luogo di incontro di tradizioni culturali arabe, latine, ebraiche e greche, nacque la prima scuola poetica in lingua volgare, detta scuola siciliana, della quale lo stesso imperatore fece parte.
Nel 1231, con le Costituzioni di Melfi, raccolta di leggi in parte da lui emanate, gettò le basi in Sicilia di uno stato accentrato, permeato dalle idee dell'assolutismo regio. Sostenitore dei ghibellini, tentò di ricondurre all'obbedienza i comuni del nord Italia, e nel 1237 sconfisse a Cortenuova una seconda lega lombarda, annullando poi le disposizioni della pace di Costanza siglata dal nonno Federico Barbarossa e sottomettendo i comuni dell'Italia centrale e settentrionale al controllo di funzionari imperiali.
Nuovamente scomunicato (1239) e poi deposto (1245) da papa Innocenzo IV, fu duramente sconfitto dai comuni a Parma nel 1248 e suo figlio Enzo fu catturato durante la Battaglia della Fossalta nel 1249. Morì il 13 dicembre 1250 dopo aver designato come erede il figlio Corrado IV re dei Romani.
Corrado IV
Corrado IV di Hohenstaufen (Andria, 25 aprile 1228 – Lavello, 21 maggio 1254) era il figlio secondogenito dell'imperatore Federico II di Svevia e di Jolanda di Brienne. Dopo la deposizione di suo fratello, Enrico VII, fu designato alla successione da suo padre Federico, e assunse i titoli di Duca di Svevia (Corrado III; 1235-1254), Re di Germania (Corrado IV; 1237-1254), re di Sicilia (Corrado I; 1250-1254) e re di Gerusalemme (Corrado II; 1250-1254).
Manfredi
Manfredi (1232-1266), principe di Taranto, figlio naturale di Federico II, alla morte del padre (1250) divenne reggente sul trono di Sicilia per il fratellastro Corrado IV, che si trovava in Germania. La sua reggenza fu osteggiata da papa Innocenzo IV, che aveva scomunicato Federico II e si era battuto per l'affermazione del potere temporale della Chiesa sull'impero. Alla morte di Corrado, nel 1254, Manfredi accettò la reggenza della Sicilia per il nipote Corradino, ma il nuovo pontefice Alessandro IV lo scomunicò e Manfredi, dalla Puglia, con l'aiuto di truppe saracene, dichiarò guerra al papa.
Nel 1257 sconfisse l'esercito del papa e il 10 agosto 1258, dopo aver diffuso la falsa notizia che Corradino era morto, fu incoronato a Palermo re di Sicilia (1258-1266). Insediatosi sul trono proseguì la politica del padre e cercò di tessere alleanze prendendo posizione all'interno di ogni faida cittadina o nobiliare. Dopo essere stato scomunicato da papa Alessandro una seconda volta, si schierò in Toscana con i ghibellini e prese parte alla battaglia di Montaperti (1260) che si concluse con una grave sconfitta per i guelfi. Per rafforzare la propria posizione combinò il matrimonio tra la figlia Costanza e l'infante Pietro d'Aragona. La scomunica gli fu rinnovata dal nuovo papa, Urbano IV, il quale si appellò al conte Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, e forte del suo sostegno bandì una crociata contro Manfredi. Il conte scese in Italia e nella battaglia di Benevento (1266) Manfredi fu sconfitto e ucciso.
Manfredi, uomo di non comuni doti intellettuali e poeta, fu un generoso mecenate e accolse alla sua corte scienziati, poeti e artisti. Fece tradurre numerosi testi dall'arabo e dal greco e scrisse versi in volgare.
Il codice fridericiano
Nel 2005 è stato rinvenuto nella Biblioteca dell'Università di Innsbruck un carteggio composto da più di 200 documenti tra lettere e decreti, redatti per la maggior parte da Federico II e da suo figlio Corrado, oltre che da diversi importanti personaggi dell'epoca.
Note
- ^ Angelo Scordo, pp. 108-111
- ^ Gianantonio Tassinari, 2007, pp. 283-300
- ^ Angelo Scordo, pp. 113-127
- ^ Gianantonio Tassinari, 2007, pp. 300-317
- ^ Angelo Scordo, p. 113
- ^ Giovanni Antonio Summonte, p. 195
- ^ Gianantonio Tassinari, 2007, pp. 321-323
- ^ Jean-Claude Maire Vigueur, p. 38
- ^ Angelo Scordo, pp. 113-115
- ^ Giovanni Antonio Summonte, pp. 82, 86, 104, 124 e 222
- ^ Angelo Scordo, pp. 105-111
Bibliografia
- Franco Cardini, Marina Montesano, Storia medievale, Firenze, Le Monnier Università, 2006, ISBN 88-00-20474-0.
- Angelo Scordo, Società Italiana di Studi Araldici, Note di araldica medievale – Una "strana" arma di "stupor mundi", Atti della Società Italiana di Studi Araldici, 11° Convivio, Pienerolo, 17 settembre 1994, Torino, Società Italiana di Studi Araldici, 1995, pp. 105-145.
- Giovanni Antonio Summonte, Dell'historia della città, e regno di Napoli, a cura di Antonio Bulifon, Tomo II, Napoli, Antonio Bulifon – Libraro all'insegna della Sirena, 1675, ISBN non esistente.
- Gianantonio Tassinari, Cenni e riflessioni sulle insegne degli Hohenstaufen, in Nobiltà, anno XIV, nn. 78-79, Milano, Federazione delle Associazioni Italiane di Genealogia, Storia di Famiglia, Araldica e Scienze Documentarie, maggio-agosto 2007, pp. 283-330.
- Jean-Claude Maire Vigueur, Storia e leggenda di un grande imperatore, in Medioevo Dossier, anno I, 1, Milano, De Agostini-Rizzoli Periodici, 1998, pp. 31-38.
Voci correlate
- Sacro romano impero
- Regno di Sicilia
- Sovrani di Sicilia
- Dispense della prima serie delle Famiglie celebri italiane
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