Regno di Sardegna: differenze tra le versioni
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'''Regno di Sardegna''' fu la denominazione dei domini di [[Casa Savoia]] dal 1720 e fino al 1861, quando [[Proclamazione del Regno d'Italia|fu proclamato]] il [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]]. Il nome derivò per [[sineddoche]] dalla sua componente col più alto titolo nobiliare, il [[Regno di Sardegna (1324-1720)|Regno di Sardegna]] di origine medievale che re [[Vittorio Amedeo II]] dovette scambiare con la [[Sicilia]] in ottemperanza del [[Trattato dell'Aia (1720)|trattato dell'Aia]].<ref>[https://www.treccani.it/enciclopedia/regno-di-sardegna_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/ "Regno di Sardegna" sulla Treccani ]</ref> |
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Il '''Regno di Sardegna''' fu un'entità statuale dell'[[Europa meridionale]] che esistette tra il 1297 e il 1861, quando [[Proclamazione del Regno d'Italia|cambiò formalmente denominazione]] in [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]]. |
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Il Regno di Sardegna |
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Regno di Sardegna fu la denominazione dei domini di Casa Savoia dal 1720 e fino al 1861, quando fu proclamato il Regno d'Italia. Il nome derivò per sineddoche dalla sua componente col più alto titolo nobiliare, il Regno di Sardegna di origine medievale che re Vittorio Amedeo II dovette scambiare con la Sicilia in ottemperanza del trattato dell'Aia.[1]
Il Regno di Sardegna era stato creato in ottemperanza al trattato di Anagni da papa Bonifacio VIII con il nome di Regnum Sardiniae et Corsicae, divenendo il 5 aprile 1297 una nazione costitutiva della Corona d'Aragona. Alla sua creazione, la Corsica si trovava in una situazione di sostanziale anarchia, mentre la Sardegna era suddivisa tra il Giudicato di Arborea, i territori d'oltremare della Repubblica di Pisa, il libero comune di Sassari e tre stati signorili appartenenti ai della Gherardesca, ai Malaspina e ai Doria. A partire dal 1323 gli aragonesi iniziarono la conquista della Sardegna, inglobandola completamente nel Regno di Sardegna e Corsica solo nel 1420 al termine della guerra sardo-catalana. Rinominato semplicemente "Regno di Sardegna" nel 1479, il regno rimase parte della Corona d'Aragona fino al 1516, quando in seguito all'unione dinastica con la Corona di Castiglia passò alla Corona di Spagna.
Nel 1700, con lo scoppio della guerra di successione spagnola, il Regno di Sardegna fu conteso tra gli Asburgo e i Borbone fino al 1720, quando come detto fu consegnato ai Savoia, che accettarono controvoglia solo nel 1723. Il Regno di Sardegna andò ad aggiungersi agli altri stati locali sabaudi, il principato di Piemonte, la contea di Nizza, il ducato di Aosta, il ducato del Monferrato e il ducato di Savoia, sostituendo quest'ultimo nel più prestigioso rango aristocratico del gruppo, come per pochi anni aveva fatto il Regno di Sicilia. Se i cosiddetti Stati di terraferma furono amalgamati in uno stato assoluto fin dal Settecento, cedendo il passo a divisioni e province riducendosi a puri titoli nobiliari, la Sardegna mantenne le proprie istituzioni storiche particolari fino al 3 dicembre 1847, quando con la fusione perfetta l'assetto amministrativo centralista di modello napoleonico venne imposto anche all'isola.
Storia
La lunga durata della sua storia istituzionale e le varie fasi storiche attraversate fanno sì che comunemente la storiografia distingua tre diversi periodi in funzione dell'entità politica dominante: un periodo aragonese (1324-1479), uno spagnolo-imperiale (1479-1720) e uno sabaudo (1720-1861)[2].
Il Regnum Sardiniae fu creato per risolvere la crisi politica e diplomatica sorta tra la Corona d'Aragona e la dinastia capetingia d'Angiò, a seguito della Guerra del Vespro per il controllo della Sicilia. L'atto di infeudazione, datato 5 aprile 1297, affermava che il regno apparteneva alla Chiesa e veniva dato in perpetuo ai re della Corona di Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio e del pagamento di un censo annuo.[3]
Dopo la sua creazione il regno fu conquistato territorialmente a partire dal 1324 con la guerra mossa dai sovrani Aragonesi contro i Pisani,[4] in alleanza col Regno giudicale di Arborea.
Mariano IV, figlio di Ugone II, sovrano arborense, era quasi riuscito nello storico obiettivo di unificare l'isola sotto la propria bandiera e cacciare via gli Aragonesi. Morì improvvisamente mentre mancava ancora la conquista delle città di Alghero e Cagliari. Con la pace del 1388, Eleonora, sorella di Ugone III, e Giovanni I Cacciatore re d'Aragona, riportavano il giudicato di Arborea ai suo precedenti confini[5].
La conquista fu a lungo contrastata dalla resistenza sull'isola dello stesso Giudicato di Arborea e poté considerarsi parzialmente conclusa solo nel 1420, con l'acquisto dei rimanenti territori dall'ultimo Giudice per 100 000 fiorini d'oro, nel 1448 con la conquista della città di Castelsardo (allora Castel Doria)[6]. Fece parte della Corona di Aragona fino al 1713, anche dopo il matrimonio di Ferdinando II con Isabella di Castiglia, allorquando l'Aragona si legò sotto il profilo dinastico (ma non politico-amministrativo) prima alla Castiglia, poi - in epoca già asburgica (a partire dal 1516) - anche alle altre entità statuali governate da tale Casa (Contea di Fiandra, Ducato di Milano, ecc.).
Nel 1713 subito dopo la guerra di successione spagnola, la Sardegna entrò a far parte dei domini degli Asburgo d'Austria che lo cedettero, dopo un fallito tentativo di riconquista da parte della Spagna, a Vittorio Amedeo II (già duca di Savoia), ricevendone in cambio il Regno di Sicilia (1720). Nel 1767-69 Carlo Emanuele III di Savoia sottrasse l'arcipelago della Maddalena al controllo genovese[7]. Nel 1847 confluirono nel Regno tutti gli altri stati della Casa Reale sabauda con la cosiddetta fusione perfetta.
Con il riordino dello Stato sardo e la conseguente scomparsa delle antiche istituzioni, l'isola divenne una regione di uno Stato più ampio, non più limitato alla sola isola come era stato fin dalla sua fondazione, ma unitario, con un unico territorio doganale, un solo popolo, un unico parlamento ed un'unica legge costituzionale (lo Statuto Albertino), comprendente la Sardegna, la Savoia, il Nizzardo, la Liguria e il Piemonte (che ospitava la capitale Torino), conservando il nome di Regno di Sardegna ancora per qualche anno, finché, una volta raggiunta l'Unità d'Italia, con la proclamazione del Regno d'Italia, cambiò il proprio nome in Regno d'Italia.[8]
Evoluzione
Regno di Sardegna aragonese | |
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1297-1324 | de jure: Regno della Corona di Aragona comprendente la Sardegna e la Corsica de facto: Territorio totalmente controllato da stati locali e potenze straniere |
1324-1479 | de jure: Regno della Corona di Aragona comprendente la Sardegna e la Corsica de facto: Regno della Corona di Aragona coincidente con la Sardegna dal 1420 |
1479-1516 | Regno della Corona di Aragona coincidente con la Sardegna |
1516-1720 | Regno costituente dell'Impero spagnolo |
Regno di Sardegna sabaudo | |
1720-1847 | Unico regno membro della federazione dei possedimenti dei Savoia capeggiata dal Ducato di Savoia |
1847-1861 | Stato unitario formato dalla fusione perfetta del Regno di Sardegna, del Ducato di Savoia e degli altri possedimenti dei Savoia |
Regno di Sardegna aragonese
La conquista aragonese dei territori sardi della Repubblica di Pisa
La prima parte della storia del Regno di Sardegna è caratterizzata dalla conquista aragonese della porzione dell'isola già in mano a Pisa[9] (corrispondente ai territori degli ex giudicati di Calari e Gallura) e dal lungo conflitto che oppose questo primo nucleo territoriale del nuovo Stato al regno giudicale di Arborea. Solo nel 1323 re Giacomo II di Aragona decise di intraprendere la conquista territoriale della Sardegna inviando sull'isola un'armata guidata dal figlio, l'Infante Alfonso, che sconfisse i Pisani sia nell'assedio di Villa di Chiesa (luglio 1323 - febbraio 1324) che nella battaglia di Lucocisterna (febbraio 1324).
Spingevano in tal senso gli interessi commerciali catalani e, in parte, la necessità di dare alla nobiltà catalana ed aragonese l'opportunità di conquistare terre e feudi. La politica catalana di quel periodo era infatti volta all'egemonia commerciale nel Mediterraneo, attraverso la strategica ruta de las islas, (la via delle isole), che dalle Baleari avrebbe dovuto toccare appunto la Sardegna, quindi la Sicilia, Malta e Cipro. Controllare una simile via di mare avrebbe dovuto consentire al ceto mercantile barcellonese di acquisire una posizione dominante rispetto a Pisa, Genova[10] e alla stessa Venezia. Effettivamente così avvenne: diverse famiglie catalane influenti come i Canelles svilupparono importanti traffici commerciali tra la Sardegna e l'Aragona, impostando nuovi rapporti economici nell'area del Mar Mediterraneo Occidentale.
La vita del nuovo regno fu però alquanto precaria. Sin dall'inizio, l'imposizione del regime feudale a popolazioni che non l'avevano mai sperimentato, unito allo spostamento drastico degli interessi economici e politici verso l'esterno dell'isola, provocarono malumori e forti resistenze sia nei villaggi a vocazione agricola che nei ceti artigiani e commerciali delle città[11]. Ugone II di Arborea aveva giurato sottomissione vassallatica al re d'Aragona, calcolando di diventarne una sorta di luogotenente nei territori sottratti ai Pisani e contemporaneamente mantenendo i propri titoli sovrani nei possedimenti arborensi: in pratica una sorta di signoria, detenuta a vario titolo e giuridicamente non uniforme, sull'intera isola. Tuttavia per la Corona d'Aragona, detentrice ora anche di fatto della sovranità sul Regno di Sardegna, l'Arborea non era altro che una porzione del regno medesimo, affidata semplicemente ad un vassallo della corona. Da tale equivoco nasceranno fatali incomprensioni e persino procedimenti giurisdizionali contro la casata di Arborea[12].
Rivolta anti-aragonese dei Doria e guerre fra Giudicato di Arborea e Regno di Sardegna
Nel 1347, mentre in Europa iniziava a diffondersi la terribile epidemia della Peste Nera, affrescata dal Boccaccio nel suo Decamerone, in Sardegna gli eventi precipitarono. I Doria, timorosi dell'egemonia aragonese che ne minacciava i possedimenti, decisero di passare all'azione scatenando la guerra e massacrando l'esercito dei regnicoli nella Battaglia di Aidu de Turdu.
A causa della terribile pestilenza le azioni di guerra si fermarono, salvando momentaneamente i regnicoli dalla completa disfatta nel nord dell'isola, ma sei anni più tardi, nel 1353, con delibera della Corona de Logu, scese in campo a fianco dei Doria il nuovo sovrano di Arborea Mariano IV. Questa decisione, da parte di chi era considerato nient'altro che un vassallo della corona aragonese, venne ritenuta un tradimento. Le sorti per il giovane Regno di Sardegna volsero rapidamente al peggio, anche per la ribellione generalizzata delle popolazioni sottomesse. Nel 1353 lo stesso re d'Aragona e di Sardegna[13], Pietro IV il Cerimonioso, dovette allestire una grande spedizione sull'isola, ponendosi di persona al suo comando. Ottenuta una tregua dai Doria e da Mariano IV (che uscirono politicamente rafforzati dalla vicenda), Pietro IV si impossessò di Alghero, cacciandone la popolazione sarda e i commercianti genovesi che vi risiedevano e ripopolandola con famiglie catalane e valenzane[14], quindi stipulò un trattato di pace con i contendenti (a Sanluri) e, arrivato a Castel di Calari, riunì per la prima volta le cortes del regno, il parlamento in cui sedevano i rappresentanti della nobiltà, del clero e delle città del Regno di Sardegna (1355)[15]. Ma era inevitabile, data la situazione dell'isola, che le ostilità riprendessero. Non erano passati dieci anni che, nonostante l'imperversare della peste, l'Arborea scese di nuovo in guerra contro il Regno di Sardegna (1364). Lo scontro assunse presto una connotazione nazionalista, contrapponendo Sardi e Catalani, in un conflitto che per durata, durezza e crudeltà non ebbe nulla da invidiare alla contemporanea guerra dei cent'anni tra Regno di Francia e Regno d'Inghilterra[3]. Per lunghi anni (a parte una parentesi tra 1388 e 1390) il Regno di Sardegna fu ridotto alle due città di Alghero e Cagliari e a poche piazzeforti assediate[3].
Sotto il re Martino il Vecchio, i Catalani ottennero la vittoria decisiva il 30 giugno 1409 nella battaglia di Sanluri, e di lì a poco conquistarono Oristano, riducendo così il territorio giudicale a Sassari e al suo circondario; infine, nel 1420 ottennero dall'ultimo sovrano arborense, Guglielmo III di Narbona[16], la cessione di quanto rimaneva dell'antico regno giudicale, al prezzo di 100.000 fiorini d'oro. L'anno successivo a Cagliari si poteva riunire di nuovo il parlamento delle Cortes, che da quel momento si denomineranno Stamenti. Tale organo di rappresentanza istituzionale continuò a funzionare di fatto fino alla fine del XVIII secolo[17], venendo abolito di diritto nel 1847, insieme alle altre istituzioni del regno. Benché il Regno di Sardegna continuasse a far parte della Corona aragonese, nel corso del XV secolo l'assetto istituzionale iberico subì un'evoluzione decisiva, nella quale fu coinvolto anche il regno sardo.
Nel 1409, in occasione della sconfitta decisiva del regno d'Arborea nella Battaglia di Sanluri, il regno d'Aragona perse l'erede al trono nonché re di Sicilia Martino il Giovane[18]. L'anno successivo morì senza altri eredi suo padre, Martino il Vecchio: si estingueva così la casata dei conti-re di Barcellona, a lungo detentrice della Corona aragonese. La successione al trono fu problematica. Alla fine, dopo due anni di conflitti, si impose la casata castigliana dei Trastámara. Da quel momento la componente catalana della Corona aragonese passò sempre più in secondo piano, con notevoli conseguenza sul piano economico, politico e culturale. Tale situazione avrebbe scatenato periodiche rimostranze da parte dei Catalani ed anche vere e proprie ribellioni. Dopo la definitiva uscita di scena del regno di Arborea nel 1420, in Sardegna rimanevano alcuni centri di resistenza anti-aragonese.
Nel 1448 venne conquistata l'ultima roccaforte dei Doria rimasta sull'isola, Castelgenovese (l'attuale Castelsardo), cui venne dunque mutato il nome in Castelaragonese. Negli stessi anni, sulle montagne del Gennargentu furono represse le ultime resistenze sarde. L'isola fu suddivisa in feudi, assegnati a coloro che avevano contribuito alla vittoriosa conquista.
Il Regno di Sardegna sotto i Re Cattolici e gli Asburgo di Spagna
Alla fallita rivolta e mancata successione nobiliare di Leonardo de Alagon, ultimo marchese di Oristano, seguì anche il tramonto di una politica autonoma della Corona aragonese a seguito dell'unione dinastica con il Regno di Castiglia. Alla morte di Giovanni II d'Aragona, nel 1479, gli succedette il figlio Ferdinando II, sposatosi dieci anni prima con Isabella, regina di Castiglia. L'unione dinastica dei due Stati non diede un avvio formale all'unificazione territoriale della Spagna, tuttavia la Corona d'Aragona, e con essa il Regno di Sardegna che ne continuò a far parte, fu da allora coinvolta nella politica di potenza prima dei "Re Cattolici", poi degli Asburgo di Spagna.
La Corona d'Aragona e gli Stati che la formavano, fra cui il Regno di Sardegna[19], furono massicciamente ispanizzati a tutti i livelli; nella lingua (il castigliano), nella cultura, nelle mode, in quel senso di appartenenza ad un'organizzazione politica, l'impero spagnolo, forse la più potente apparsa nel mondo fino ad allora, a cui appartenevano numerosi popoli, diversi fra loro, e situati in ogni angolo del mondo, dall'Europa mediterranea a quella centrale, dalle Americhe alle Filippine, dalle colonie portoghesi in Brasile, Africa e in India alle Isole Marianne. Un sentimento di appartenenza cui anche la classe dirigente sarda aderì pienamente, anche con incarichi politici di alto prestigio, come con Vicente Bacallar y Sanna, e culturali di buon livello per una piccola provincia di un grande impero[20]. I sardi condivisero pienamente, nel bene e nel male, le scelte politiche e gli interessi economici del Regno "delle Spagne", come si diceva allora, roccaforte del potere asburgico in Europa, seguendone la parabola storica dal periodo di massimo splendore e di egemonia europea e mondiale (XVI secolo) al declino finale (seconda metà del XVII secolo).
Nel corso del XVI secolo, alle incursioni dei corsari barbareschi e turchi si aggiunsero per l'isola la minaccia delle potenze europee rivali della Spagna (prima la Francia, poi l'Inghilterra). Lo stato di belligeranza quasi continuo richiese un certo dispendio di risorse e di uomini. Sotto Carlo V d'Asburgo e soprattutto sotto suo figlio Filippo II, i litorali sardi vennero dotati di una fitta rete di torri costiere[21] come prima misura di difesa. Tuttavia, tali misure non furono mai sufficienti ad assicurare una decisiva difesa dalle incursioni nemiche.
Dal punto di vista culturale, continuò il progressivo e profondo processo di ispanizzazione di tutte le strutture amministrative e sociali dell'isola. Il tribunale dell'Inquisizione spagnola (con sede a Sassari) perseguitò tanto le espressioni di pensiero eterodosso delle classi dominanti (famoso il processo e la condanna al rogo del giurista cagliaritano Sigismondo Arquer, nel 1561), quanto le manifestazioni della religiosità e delle tradizioni popolari (una cui porzione molto ampia era retaggio di culti e conoscenza mistico-mediche antichissime). A tale opera repressiva fece da contraltare la nuova evangelizzazione compiuta nelle campagne e nelle zone interne dai Gesuiti i quali, attenti alle usanze e alle lingue locali, ridisegneranno - salvaguardandole - celebrazioni, feste e pratiche liturgiche di matrice chiaramente pre-cristiana sopravvissute fino allora (e da allora fino ai nostri giorni). Sempre ai padri Gesuiti si deve l'erezione di collegi nelle principali città dell'isola; da quelli di Sassari e Cagliari si sarebbero sviluppate, nei primi decenni del XVII secolo, le due università sarde di Sassari e Cagliari. Nel 1566 venne fondata inoltre a Cagliari la prima tipografia del regno ad opera di Nicolò Canelles, favorendo il progresso culturale nell'intera isola.
Il sistema feudale, specie nel corso del XVII secolo, fu in parte temperato dal regime pattizio che molte comunità riuscirono ad imporre ai rappresentanti in loco del signore riguardo all'imposizione fiscale e all'amministrazione della giustizia, altrimenti esposte all'arbitrio del barone e degli appaltatori delle rendite. La fiscalità feudale rimase comunque gravosa e spesso insostenibile, specie per l'estrema variabilità dei raccolti. Periodicamente, recrudescenze della peste afflissero la Sardegna (così come il resto dell'Europa durante l'Antico Regime): tristemente memorabile rimase quella del 1652[22]. La seconda metà del XVII secolo fu un periodo di crisi economica, culturale e politica. L'aristocrazia sarda, di origini catalane, si divise in fazioni: una filo-governativa più conservatrice, una seconda guidata da Agostino di Castelvì, marchese di Laconi e primavoce dello Stamento militare, desiderosa di maggiore autonomia politica. Nel 1668 tali dissidi portarono alla negazione da parte del Parlamento della tassa del donativo, evento inedito e potenzialmente eversivo[23]. Poche settimane dopo, il marchese di Laconi, capo riconosciuto della fazione anti-governativa che aveva avanzato la richiesta di assegnazione delle cariche in via esclusiva ai nativi dell'Isola, venne ucciso a tradimento.
Un mese più tardi, a subire la stessa sorte per le strade del Castello di Cagliari fu nientemeno che il viceré in persona, Manuel de los Cobos y Luna, marchese di Camarassa. Tale susseguirsi di eventi suscitò grande scandalo a Madrid e il sospetto che in Sardegna si preparasse una rivolta generalizzata, così come era accaduto in Catalogna meno di trent'anni prima. La repressione fu severissima; tuttavia la popolazione rimase sostanzialmente estranea a tali eventi. Nel 1698 si concluse l'ultima sessione deliberativa del parlamento sardo. Perché gli Stamenti tornino a radunarsi, autoconvocandosi, bisognerà attendere il 1793, in circostanze eccezionali. Alla morte dell'ultimo erede degli Asburgo di Spagna, si aprì la difficile successione al trono iberico, conteso dai Borbone di Luigi XIV di Francia e gli Asburgo d'Austria, con gli altri stati europei schierati con l'uno o con l'altro pretendente. Ne conseguì il sanguinoso conflitto conosciuto come la Guerra di successione spagnola.
Il Regno di Sardegna agli Asburgo d'Austria
La Guerra di successione spagnola ebbe le dimensioni di una vera e propria guerra mondiale, coinvolgendo tutte le potenze europee e i rispettivi imperi coloniali; nell'agosto del 1708, durante il conflitto, una flotta anglo-olandese inviata da Carlo d'Austria assediò Cagliari mettendo così fine dopo quasi quattro secoli alla dominazione iberica. Dopo una prima conclusione, regolata dalla pace di Utrecht e dal trattato di Rastatt, il Regno di Sardegna entrò in possesso degli Asburgo d'Austria che tennero l'isola per quattro anni.
Nel 1717, tuttavia, un corpo di spedizione spagnolo, inviato dal cardinal Alberoni, potente ministro iberico, occupò di nuovo l'isola, cacciandone i funzionari asburgici. Fu solo una parentesi breve, che servì solo a rinfocolare i due partiti filo-austriaco e filo-spagnolo in cui era divisa la classe dominante sarda.
Regno di Sardegna sabaudo
In seguito alla pace di Utrecht, Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, era divenuto nel 1713 re di Sicilia. Tra il 1718 e il 1720, con le trattative diplomatiche di Londra e dell'Aia, dovette cedere il Regno di Sicilia all'Impero e accettare al suo posto il Regno di Sardegna. Il sovrano sabaudo divenne così re di Sardegna.
Il Regno di Sardegna si aggiungeva così ai domini di Casa Savoia, dinastia sovrana dal X secolo[24], che all'iniziale nucleo della Contea di Savoia - divenuta ducato nel 1416 - aveva aggiunto il Principato del Piemonte nel 1418, la contea di Asti nel 1531, il Marchesato di Saluzzo nel 1601, il Monferrato, parte nel 1630 e parte nel 1713, e ampie parti della Lombardia occidentale sempre nel 1713[25].
Per i Savoia, che almeno dal ducato di Carlo II (1505-1553) avevano progressivamente spostato il proprio baricentro nei domini italiani[26], l'annessione della Sardegna fu il frutto d'una sconfitta sia militare sia diplomatica, che aveva rivelato la debolezza della politica estera sabauda dopo la morte della regina Anna d'Inghilterra e il conseguente allentarsi dell'appoggio inglese[27][28][29]. Lo scambio fra Sicilia e Sardegna era diseguale sia dal punto di vista economico sia da quello politico. Il prestigio del Regno di Sicilia, uno dei più antichi d'Europa, non era paragonabile a quello di un periferico stato iberico come quello di Sardegna[30]; il Regno di Sicilia, per esempio, era uno dei soli quattro regni in Europa per cui fosse prevista una cerimonia d'incoronazione all'interno della quale c'èera anche un'unzione con olio consacrato[31]. Vittorio Amedeo II aveva quindi deciso di recarsi a Palermo per tale cerimonia ed egli e la sua corte si erano fermati a Palermo per circa un anno[32].
Al contrario, nel 1720 a Torino si ragionò a lungo se il re dovesse recarsi a Cagliari e procedere a una nuova incoronazione. Tuttavia la mancanza di una tradizione in merito avrebbe costretto il sovrano a inventarsene una nuova. Per una dinastia che aveva la sua stella polare nell'antichità e nella tradizione si trattava di un'opzione non considerabile. Il sovrano, quindi, rinunciò a tale possibilità e non si recò in Sardegna[33], inviandovi da allora un Vicerè nella funzione di governatore.
Sebbene il Regno di Sardegna avesse un valore minore rispetto a quello siciliano, i Savoia pensarono, contrariamente a quanto accaduto in Sicilia dove incontrarono una forte opposizione della ricca e potente nobiltà locale, di potersi avvantaggiare della povera e debole nobiltà sarda, inserendola con maggior facilità rispetto a quella siciliana nel proprio sistema degli onori[34]. Carlo Emanuele III nel 1732 volle inserire fra i propri «gentiluomini di camera» alcuni nobili sardi, come don Dalmazzo Sanjust, Marchese di Laconi, e don Felice Nin, Conte del Castillo. La cooptazione della classe dominante sarda nel sistema di potere sabaudo fu una costante, destinata ad accrescersi viepiù sino al Risorgimento. In questo senso, è importante notare come almeno dagli anni quaranta, poi, diverse famiglie della nobiltà sarda iniziarono a mandare i propri figli a studiare all'Accademia Reale di Torino, ponendo così le basi per le loro carriere a corte. È il caso, per esempio, dei Pes di Villamarina, una delle famiglie nobili sarde più legate a Casa Savoia[35]. Va notato, inoltre, che anche diversi funzionari sardi furono chiamati a far parte di magistrature nazionali, come l'avvocato cagliaritano Vincenzo Mellonda (m. 1747), che Vittorio Amedeo II volle prima docente all'Università di Torino e poi nel 1730 nominò secondo presidente del Senato di Piemonte[36]. Quando i Savoia, costretti dall'irruenza napoleonica, si trasferirono a Cagliari alla fine del Settecento, poterono così contare su un rapporto con le aristocrazie dell'isola, decisamente mutato rispetto a un settantennio prima.
Inoltre la Sardegna era più facilmente gestibile e difendibile rispetto alla più lontana Sicilia[37]. Il che aiuta anche a capire i lavori di fortificazione posti in essere dai Savoia nelle principali città, a partire da Cagliari sin dai tempi del suo primo viceré Pallavicino[38].
Non va trascurato, comunque, che a lungo i rapporti fra sardi e piemontesi furono improntati ad una forte diffidenza. Grandi erano le differenze fra le culture delle due popolazioni e dei rispettivi ceti dirigenti. Si tratta d'un tema delicato, che ha segnato a lungo la storiografia. Tuttavia, non va dimenticato che in generale il governo e le aristocrazie sabaude, dopo la lunga preponderanza francese, erano ormai molto lontane dalla cultura spagnola. Problemi analoghi a quelli avuti con i sudditi sardi si ebbero, infatti, anche con quelle città della Lombardia passate sotto il controllo sabaudo, come Alessandria e Novara. I ceti dirigenti di tali città erano abituati da secoli a confrontarsi con un potere lontano, che lasciava loro sostanziale mano libera sul governo locale, in cambio di tributi e servizi militari[39]. Niente di più lontano dalla politica sabauda, che stava costruendo uno Stato moderno di tipo francese, in cui ai ceti dirigenti locali erano lasciati ben pochi poteri e, comunque, sempre sotto il controllo del governo centrale[40]. L'incomprensione fra sardi e piemontesi era prima di tutto un problema di cultura politica. In quest'ottica, risultano anche più comprensibili frasi aspre come, per esempio, quelle scritte dal viceré Pallavicino nel 1723 al ministro Mellaréde: «come regola certa occorre non fidarsi mai dei sardi, i quali promettono meraviglie e non mantengono mai la parola»[41]
Benché dal 1720 entrasse nell'uso corrente definire i Regi Stati come Regno di Sardegna, si trattava solo di una sorta di metonimia. Da un punto di vista formale, infatti, tutti gli Stati erano sullo stesso piano e se una gerarchia fra di loro esisteva, era determinata in primis dall'anzianità di possesso da parte della dinastia e, poi, dal titolo dello Stato (un marchesato, per esempio, precedeva un comitato[42]).
Dal 1720 il titolo di re di Sardegna divenne certo quello più importante detenuto dai sovrani sabaudi, ma ciò non significava che l'isola cui esso era 'appoggiato' divenisse la parte principale dei Regi Stati. Anzi, se Vittorio Amedeo II non volle recarsi in Sardegna per farvisi incoronare re, sino al 1798 nessun sovrano sabaudo ritenne di visitare il territorio del Regno. Fu solo la perdita dei Regi Stati di Terraferma, in seguito alla sconfitta nella guerra contro la Francia rivoluzionaria, a determinare l'arrivo in Sardegna di Carlo Emanuele IV. Allo stesso modo, la sede della corte restò stabilmente Torino (e la rete di residenze che la circondava, in cui la corte trascorreva anche sette/otto mesi all'anno), ma nessun sovrano da Vittorio Amedeo II a Vittorio Amedeo III pensò mai di portarla in Sardegna. Cagliari era la capitale del Regno di Sardegna, esattamente come Chambéry lo era del Ducato di Savoia e Torino del Principato di Piemonte, ma non era la capitale di tutti i Regi Stati: questa era là ove si trovavano il re, la corte e i ministeri. E questi restarono sempre a Torino.
A determinare, poi, una certa diffidenza nell'impegno di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III verso la Sardegna, fu il timore che nuovi conflitti in cui gli Stati sabaudi si fossero impegnati determinassero la perdita dell'isola o il suo scambio con altri territori. Dopo aver investito tanti soldi in Sicilia ed averla persa così inopinatamente, il timore di ripetere l'esperienza, era forte. Fu solo dopo il 1748 e la fine delle Guerre di successione che, con l'inizio di una cinquantennale fase di pace, il governo di Torino decise di provvedere ad un serio processo di riforme nel Regno.
Ciò non vuol dire, peraltro, che negli anni precedenti i viceré sabaudi non avessero sviluppato - d'intesa con le Segreterie di Stato torinesi - una politica riformatrice, come mostrano, per esempio, recenti ricerche sul viceré Ercole Roero di Cortanze (viceré dal 1727 al 1731), il cui operato fu centrale nel limitare gli abusi del clero, grazie anche all'appoggio dell'arcivescovo di Cagliari, Raulo Costanzo Falletti di Barolo (arcivescovo dal 1727 al 1748): entrambi provenienti dalle fila della nobiltà astigiana[43]. Negli stessi anni, il gesuita Antonio Falletti di Barolo sviluppò una politica volta a fare dell'italiano la sola lingua ufficiale dell'isola, anche se sino alla fine del Settecento questa restò per lo più il castigliano assieme al sardo[44]; l'italiano fu comunque introdotto in Sardegna nel 1760 per volontà regia, a scapito delle lingue iberiche e locali.
La stessa politica di controllo dell'ordine pubblico e repressione del brigantaggio attuata dal marchese Carlo San Martino di Rivarolo (viceré dal 1735 al 1739) può esser letta oggi con un'interpretazione meno critica di quella offerta da una parte della storiografia ottocentesca[45].
Le istanze riformiste, innestate nella tradizione regalista-giurisdizionalista piemontese di ascendenza gallicana, che furono proprie del regno di Vittorio Amedeo II, non persero efficacia nemmeno durante il regno del suo successore Carlo Emanuele III. Tra il 1759 e il 1773, venne creato ministro per gli Affari di Sardegna Giovanni Battista Lorenzo Bogino, vero primo ministro dei Regi Stati, il quale attuò nell'isola una vasta politica di riforme (l'istituzione dei Monti granatici, la riforma delle Università di Cagliari e Sassari, una vasta legislazione in materia di giurisdizionalismo[46]), che ebbero un'indubbia importanza nello sviluppo dell'isola[47].
Certo, la borghesia nascente e il mondo produttivo restava vincolato alle rigide disposizioni accentratrici del fisco e delle dogane. Il popolo delle campagne e i lavoratori più umili nelle città - ossia la maggioranza della popolazione - subivano sia il regime fiscale feudale, sia il controllo del governo. La durezza del sistema giudiziario e carcerario sabaudo costituirono un elemento di forte malcontento, rimanendo a lungo nell'immaginario collettivo.
Tentata invasione francese della Sardegna e moti rivoluzionari sardi
Allorché la Francia rivoluzionaria, le cui idee democratiche ed emancipatrici erano ormai trapelate sull'isola[48], tentò di occupare militarmente la Sardegna nell'inerzia del viceré piemontese, fu il Parlamento a radunarsi, raccogliere fondi e uomini e opporre una milizia sarda al tentativo di sbarco francese. Le circostanze favorirono un'imprevedibile vittoria dei Sardi e l'evento fece crescere la delusione verso il governo.
Il 28 aprile del 1794 furono cacciati il viceré e tutti i funzionari piemontesi e stranieri dall'isola. Il parlamento e la Reale Udienza presero il controllo della situazione e governarono l'isola per alcuni mesi, fino alla nomina del nuovo viceré. Nonostante ciò, ormai i problemi irrisolti emergevano prepotentemente. Le città erano incontrollabili, le campagne in rivolta. L'inviato governativo a Sassari Giovanni Maria Angioy, postosi a capo della ribellione, marciò verso Cagliari con l'intenzione di prendere il potere, abolire il regime feudale e proclamare la repubblica sarda. Aristocrazia e clero, insieme ad una parte cospicua della borghesia, abbandonarono ogni velleità riformatrice e nel 1796, con l'aiuto militare piemontese (di nuovo cospicuo dopo l'armistizio di Cherasco), bloccarono il tentativo rivoluzionario[49]. L'Angioy dovette riparare in Francia, morendovi esule e in miseria di lì a qualche anno. Altri tentativi rivoluzionari, negli anni successivi (1802 e 1812), furono soffocati nel sangue.
Occupazione francese del Piemonte e trasferimento dei Savoia a Cagliari
Nel 1799, dopo che le armate napoleoniche si erano impossessate dell'Italia settentrionale, Carlo Emanuele IV e un'ampia parte della sua corte dovettero riparare a Cagliari. Qui essi restarono per qualche mese, trasferendosi poi di nuovo nella penisola, dopo aver nominato Carlo Felice viceré dell'isola. Vittorio Emanuele I vi fece ritorno nel 1806. Il soggiorno della famiglia reale in Sardegna durò fino al 1814 per Vittorio Emanuele I, sino al 1815 per la moglie Maria Teresa d'Asburgo Este e le loro figlie, sino al 1816 per Carlo Felice e sua moglie Maria Cristina di Borbone Napoli.
I reali a Cagliari si stabilirono nel palazzo regio[50], edificio risalente al XIV secolo situato nel quartiere di Castello, già residenza dei vicerè di Sardegna dal 1337 fino al 1847
Le spese di mantenimento della corte e dei funzionari statali gravarono certo sulla casse del regno, ma, nello stesso tempo, la trasformazione in palazzo regio del palazzo vice-regio e lo stabilirsi di una corte ebbe conseguenze importanti per lo sviluppo dell'isola. Per la prima volta si assistette allo nascita di artisti di corte sardi, che la Corona inviò a formarsi sul continente (in particolare a Roma). Inoltre la nobiltà e la borghesia sarda ebbero modo di stabilire rapporti assai stretti con i vari esponenti di Casa Savoia e alla Restaurazione ottennero a Torino incarichi che sarebbero stati impensabili nel corso dei decenni precedenti.
La Restaurazione e le riforme
Con la fine dell'epopea napoleonica e il Congresso di Vienna, i Savoia, rientrati a Torino, ottennero la Repubblica di Genova, senza un plebiscito che sancisse tale annessione[51]. Gli interessi della casa regnante erano sempre più rivolti alla Lombardia e all'Italia settentrionale, ma ancora senza collegamenti con le nascenti richieste di liberazione e di unità nazionale italiana. Benché avversa a qualsiasi innovazione radicale delle istituzioni, nel periodo della Restaurazione la casa regnante promosse un certo rinnovamento legislativo.[52][53][54] Nel 1820 in Sardegna venne emanato dal re Vittorio Emanuele I un editto che consentiva a chiunque di diventare proprietario di un pezzo di terra che fosse riuscito a cingere: era il cosiddetto Editto delle Chiudende[55]. Nel 1827 il re Carlo Felice estese alla Sardegna il nuovo codice civile, abrogando così l'antica Carta de Logu, legge di riferimento generale per tutta l'isola sin dai tempi di Eleonora d'Arborea, mantenuta in vigore da Catalani e Spagnoli. Tra il 1836 e il 1838, il re Carlo Alberto infine abolì il sistema feudale.
Il riscatto monetario dei territori sottratti all'aristocrazia e all'alto clero fu fatto gravare, sotto forma di tributi, sulle popolazioni.[non chiaro] Col ricavato, molte famiglie aristocratiche poterono addirittura ricomprare in proprietà piena una larga parte dei terreni feudali. Questa serie di misure legislative, apparentemente volta a favorire il progresso economico dell'agricoltura e quindi dell'intera economia sarda, si rivelò in buona parte controproducente, perché le nuove proprietà fondiarie, non più destinate agli usi comunitari, furono destinate all'affitto per il pascolo, meno costoso e più remunerativo della messa a coltura, favorendo la rendita passiva rispetto alle attività produttive. Mentre sui possedimenti sabaudi del continente si avviava il decisivo processo di modernizzazione, in Sardegna crescevano gli squilibri sociali ed economici e le risorse dell'isola (miniere, legname, saline, produzione lattiero-casearia) venivano appaltate e date in concessione per lo più a stranieri, in un ciclo economico di stampo coloniale. La situazione sarda rimase dunque stagnante, con periodiche ribellioni popolari e alimento dell'atavico banditismo[56].
Il processo di riforma si concluse nel 1847, su pressione della borghesia sassarese e cagliaritana, con la concessione da parte del re Carlo Alberto dell'Unione o Fusione Perfetta con gli stati di Terraferma. La Sardegna perse ogni forma residuale di sovranità e di autonomia statuale; Claudio Gabriele de Launay fu l'ultimo vicerè dell'isola e questa confluì in uno Stato più grande, il cui baricentro risultava sul continente. L'obiettivo degli unionisti sardi, a detta di Pietro Martini, era il «trapiantamento in Sardegna, senza riserve ed ostacoli, della civiltà e coltura continentale, la formazione d’una sola famiglia civile sotto un solo Padre meglio che Re, il Grande Carlo Alberto»[57]; purtuttavia, l'Unione Perfetta non apportò i vantaggi auspicati all'isola, dal punto di vista economico, politico, sociale e culturale. Tale esito, ben chiaro sin dai primi anni dopo l'avvenuta fusione istituzionale, diede adito alla cosiddetta "Questione Sarda" con la prima stagione del pensiero autonomista sardo (Giorgio Asproni, Giovanni Battista Tuveri, ecc.). Ad ogni modo, durante l'intero periodo di governo Sabaudo (1720-1861), la popolazione della Sardegna crebbe dai 312.000 del 1728 ai 609.000 del 1861, con un incremento del 95%.
Il Risorgimento italiano e la fine formale del Regno di Sardegna
Sin dai primi anni dopo la Restaurazione, nella penisola italiana le borghesie liberali e gran parte del ceto intellettuale dei vari stati italici cominciarono a coltivare progetti politici di unificazione nazionale, alimentati dalla crescente presa delle idee romantiche.
Intorno alla metà del secolo, a partire dal 1848, anno di rivoluzioni in tutta Europa, si avviò concretamente con la prima guerra di indipendenza il processo di unificazione territoriale della Penisola.
A capo del processo politico così avviato era appunto il Regno di Sardegna guidato dai Savoia. Nel medesimo 1848 Carlo Alberto concesse lo Statuto[58], prima costituzione del regno, rimasta formalmente in vigore fino al 1948, data di promulgazione dell'attuale Costituzione della repubblicana italiana.
Tra il 1859 (seconda guerra di indipendenza) e il 1861 (dopo la spedizione garibaldina dei Mille, 1860), l'Italia raggiunse l'unità[59] sotto le insegne del regno sabaudo, con la conseguente scomparsa degli altri stati.
Il 17 marzo 1861 il XXIV re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, proclamò la nascita del Regno d'Italia.
La legislazione
I codici sabaudi, ad eccezione del codice civile, furono provvisoriamente estesi a tutta l'Italia dopo l'unità d'Italia. Il codice civile del 1865 e il codice di commercio del 1882 (che subentrava a quello del 1865) furono sostituiti da un unico codice, il codice civile del 1942. Il codice penale del 1889 fu sostituito dal codice penale del 1930.
- Codice civile sabaudo
- Codice penale sabaudo
- Codice di procedura civile sabaudo
- Codice di procedura penale sabaudo
Ordini cavallereschi
- Ordine supremo della Santissima Annunziata (1362)
- Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (1434)
- Ordine militare di Savoia (1815)
- Ordine civile di Savoia (1831)
Note
- ^ "Regno di Sardegna" sulla Treccani
- ^ Circa l'epoca sabauda, le cose si complicano dal punto di vista storiografico, sia perché il Regno di Sardegna si inserisce istituzionalmente nel complesso processo di unificazione territoriale del nuovo Stato italiano (cfr. Storia d'Italia, Casa Savoia, Risorgimento), sia perché i re di Sardegna non sono detentori di altri titoli monarchici (come erano stati i re di Sardegna aragonesi e spagnoli) e questo comporta particolare attenzione nell'inquadramento storico di eventi e processi. Prima della Fusione Perfetta (1847) i Savoia agivano come re di Sardegna anche quando si occupavano dei loro stati di terraferma e quando intervenivano a livello internazionale, perché quello monarchico sardo era il loro titolo più alto. Perciò bisognerebbe tener presenti due ambiti storiografici circa la vicenda del Regno di Sardegna sabaudo: quello propriamente sardo e quello relativo alla politica complessiva dei re di Sardegna. Vedi: Storia del Regno di Sardegna dal 1720 al 1848 e Storia della Monarchia Sabauda dal 1720 al 1861
- ^ a b c F. C. Casula, Storia di Sardegna, cit.
- ^ i Pisani, che all'epoca erano possessori di un terzo circa della Sardegna: la somma dei territori dei due regni giudicali di Gallura e di Calari
- ^ Lo stemma dei Quattro Mori- Breve storia dell'emblema dei sardi, Carlo Delfino Editore, Città di Castello, Luglio 2007, ISBN 88-7138-022-3
- ^ Francesco Cesare Casula, La Storia di Sardegna, Sassari, Carlo Delfino Editore, marzo 1998, p. 389, ISBN 88-7741-760-9.
- ^ Francesco Cesare Casula, La Storia di Sardegna, Sassari, Carlo Delfino Editore, marzo 1998, p. 464, ISBN 88-7741-760-9.
- ^ Su tale fase conclusiva della storia del regno di Sardegna si vedano: G. Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Roma-Bari, 1984, e Id., Storia della Sardegna dopo l'Unità, Roma-Bari, 1986; F. C.Casula, La storia di Sardegna, Sassari-Pisa, 1994;
- ^ Giuseppe Meloni, La Sardegna nel quadro della politica mediterranea di Pisa, Genova, Aragona, in Storia dei Sardi e della Sardegna, II, Il Medioevo dai giudicati agli Aragonesi, Milano, 1988
- ^ Giuseppe Meloni, Genova e Aragona all'epoca di Pietro il Cerimonioso, I (1336-1354), II (1455-1360), III (1361-1387), Padova, 1971, 1976, 1982.
- ^ M. Tangheroni, Medioevo tirrenico, cit.; F. C. Casula, Profilo storico della Sardegna catalano-aragonese, Cagliari, 1982; Id., Sardegna aragonese. La nazione sarda, Sassari, 1990
- ^ F. C. Casula, Profilo storico della Sardegna catalano-aragonese, cit. e Id.,La storia di Sardegna, Sassari-Pisa, 1994
- ^ In questo periodo era già scomparsa dai documenti di cancelleria e dalle monete l'intitolazione relativa alla Corsica. Cfr. F. C. Casula, Sardegna aragonese, Vol. 1, pag. 405; F. Sedda, La vera storia della bandiera dei sardi, cit., pp. 55, 56, 68
- ^ Da allora Alghero è stata ed è ancora in buona parte una città etnicamente catalana, tuttora riconosciuta tra le minoranze linguistiche dello Stato italiano con la L. 482 del 1999
- ^ Giuseppe Meloni, Il Parlamento di Pietro IV d'Aragona (1355), I ed., Sassari, 1993. II ed., Firenze, 1993.
- ^ Sulle intricate vicende successorie che condussero il visconte di Narbona Guglielmo III al titolo giudicale, vedi: F.C. Casula, Storia di Sardegna, cit.
- ^ Il parlamento degli Stamenti avrà un ruolo decisivo nel corso della stagione rivoluzionaria sarda degli anni 1793-1796. Vedi: storia della Sardegna sabauda
- ^ Martino il Giovane morì di malaria il 25 luglio 1409, a nemmeno un mese dalla decisiva vittoria di Sanluri. Il suo mausoleo si trova nel transetto sinistro della cattedrale di Cagliari
- ^ Antonello Mattone, Il Regno di Sardegna e il Mediterraneo nell'età di Filippo II. Difesa del territorio e accentramento statale, Studi Storici, Anno 42, No. 2 (Apr. - Jun., 2001), pp. 263-335.
- ^ Francesco Manconi, Una piccola provincia di un grande impero. La Sardegna nella monarchia composita degli Asburgo (secoli XV - XVIII), CUEC, Cagliari, 2010
- ^ In massima parte ancora ben visibili su tutta la linea costiera sarda
- ^ Copia archiviata (PDF), su sardegnacultura.it. URL consultato il 26 agosto 2013 (archiviato dall'url originale il 14 novembre 2012). Jorge Aleo, 1637-1672 Storia cronologica e veridica del Regno di Sardegna
- ^ Nel periodo spagnolo il Parlamento si riuniva all'incirca ogni dieci anni per discutere delle questioni più rilevanti del regno e per stabilire, negoziandolo, l'ammontare dell'imposta generale da versare al Re, il cosiddetto donativo, appunto
- ^ Il primo esponente della dinastia ad esercitare sovranità fu Umberto I tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo, in un territorio che corrispondeva ad alcune parti dell'attuale Savoia. Le sue origini sono ancora oggi incerte ed sono state per secoli oggetto di dibattito politico e storiografico. I cronachisti sabaudi, in primis Cabaret, avevano sostenuto che Umberto fosse figlio di tal Beroldo, principe cadetto della casa di Sassonia (cfr. L. Ripart, Le mythe des origines saxones de la Maison de Savoie, in «Razo. Cahiers du Centre d'Etudes Médiévales de Nice», 1992, 12, pp. 147-161). Questa tesi fu accettata da tutte le corti europee sino alla fine del Settecento. Solo quella francese fece obiezioni, perché ad essa conveniva che i Savoia discendessero da Carlo Magno, così da poter rivendicare la Savoia alla Francia. Nel secondo settecento, molti storici piemontesi, come Gian Francesco Galeani Napione, iniziarono a sostenere la tesi delle origini italiane, ma senza l'appoggio della Corona (G. Ricuperati, Fra Corte e Stato. La storia di Casa Savoia dal Guichenon al Lama, in ID., Le avventure di uno stato «ben amministrato». Rappresentazioni e realtà nello spazio sabaudo tra Ancien regime e Rivoluzione, Torino, Tirrenia, 1994, pp. 54-56; V. Sorella,Origine sassone e Impero nelle opere di Bernardo Andrea Lama e di Melchiorre Rangone, in Stato sabaudo e Sacro Romano Impero, a cura di M. Bellabarba e A. Merlotti, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 113-134). D'altronde lo Stato sabaudo era l'unico stato italiano a fare parte non solo dell'Impero, ma anche del suo Corpo Germanico. Anche per questo dalla metà del Seicento il principale salone di Palazzo Reale (l'attuale Sala degli Svizzeri) era destinata ad illustrare le glorie sassoni, in quanto tale dinastia era considerata l'albero da cui erano stati originati i Savoia. Ancora alla Restaurazione, la tesi delle origini sassoni era considerata come una verità ufficiale. Fu solo con Carlo Alberto che la tesi tedesca venne abbandonata e sostituita con una italiana, elaborata da Luigi Cibrario. Tale tesi era però tanto smaccatamente politica che diversi storici, soprattutto svizzeri e francesi, espressero dure critiche nei suoi confronti, ritenendo più probabile un'origine autoctona (cfr. A. Merlotti, Morte (e resurrezione) di Beroldo. Le origini sassoni dei Savoia nella storiografia del Risorgimento, in Stato sabaudo e Sacro Romano Impero, cit. pp. 135-163). Allo stato attuale, comunque, quale sia stata la vera origine dei Savoia resta un mistero. Resta che sin dalla loro comparsa nella storia, i Savoia furono subito compresi fra le famiglie sovrane di maggior lignaggio, come mostra il matrimonio nel 1066 Berta di Savoia, nipote di Umberto I, con il re dei Romani Enrico di Franconia, poi imperatore come Enrico IV
- ^ Sull'evoluzione degli Stati sabaudi resta utile, pur con alcuni limiti dovuti all'interpretazione del tempo, R. Quazza, La formazione progressiva dello Stato Sabaudo. Dalla Contea in Savoia al Regno d'Italia, Torino, SEI, 1936
- ^ La storiografia sabaudista di matrice nazionalista ha a lungo insistito sul ruolo di Emanuele Filiberto che avrebbe posto la capitale a Torino nel 1563, facendo così una scelta italiana, In realtà già dall'inizio del secolo - come mostrano le ricerche di Alessandro Barbero, Torino era la capitale amministrativa se non dello Stato almeno dei suoi spazi italiani. Cfr. A. Barbero, Savoiardi e piemontesi nello Stato sabaudo all'inizio del Cinquecento: un problema storiografico risolto?, «Bollettino Storico Bibliografico Subalpino», LXXXVII (1989), pp. 591-637.
- ^ Sull'annessione della Sardegna agli Stati sabaudi si vedano A. Mattone, La cessione del Regno di Sardegna dal trattato di Utrecht alla presa di possesso sabauda (1713-1720), «Rivista storica italiana», CIV (1992), f. 1, pp. 5-89; A. Girgenti, Vittorio Amedeo II e la cessione della Sardegna: trattative diplomatiche e scelte politiche, «Studi storici», XXXV (1994), f. 3, pp. 677-704; E. Mongiano, Universae Europae Securitas. I trattati di cessione della Sardegna a Vittorio Amedeo II di Savoia, Torino, Giappichelli, 1995
- ^
«Vittorio Amedeo accettò a malincuore, e dopo ripetute proteste, nel 1720, da governi stranieri, al solito, la Sardegna in cambio della Sicilia. E diresti che la ripugnanza con la quale egli accettò la terra in dominio, si perpetuasse, aumentando, attraverso la dinastia.»
- ^
«Il principe savoiardo Amedeo II avrebbe preferito un trattamento migliore dai suoi alleati, ma questi sommessamente ma efficacemente, gli fecero probabilmente capire che sarebbe potuto rimanere con nulla in mano, mentre il nuovo possedimento gli avrebbe consentito di fregiarsi comunque del titolo di re, essendo quello un regno plurisecolare.»
- ^ Così descriveva l'isola, nel 1720, il suo nuovo viceré piemontese, nonché barone di Saint Remy: «Il male peggiore che io vedo in questo paese (la Sardegna) è che la nobiltà è povera, il paese miserabile e spopolato, la popolazione pigra e priva di attività commerciali, l'aria irrimediabilmente malsana.» Gian Giacomo Ortu, Una razza inferiore, così l'Europa vedeva la Sardegna, su ricerca.gelocal.it, 2001.
- ^ «Sunt inter christianos quatuor tantum reges qui unguntur more Davidis et Salomonis, scilicet Ierosolymitanus, Francorum, Anglorum et Siculorum», scrisse Symphorien Champier nel 1537. S. Champier, De monarchia Gallorum campi aurei: ac triplici imperio, videlicet Romano, Gallico, Germanico, Trechsel, Lione 1537, p. 17.
- ^ T. Ricardi di Netro, Il duca diventa re. Cerimonie di corte per l'assunzione del titolo regio (1713-1714), in Le strategie dell'apparenza. Cerimoniali, politica e società alla corte dei Savoia in età moderna, a cura di P. Bianchi e A. Merlotti, Torino, Zamorani, 2010, pp. 133-146; E. Wunsche-Werdehausen, «La felicità in trono»: l'entrata di Vittorio Amedeo II a Palermo nel 1713, Artes, 2005-2007, vol. XIII, p. 362-388
- ^ A. Merlotti, I Savoia. Una dinastia europea in Italia, in I Savoia. I secoli d'oro d'una dinastia europea, a cura di W. Barberis, Torino, Einaudi, 2007, pp. 86-133 (in part. pp. 124-128)
- ^ Piero Sanna, "La Sardegna Sabauda", «Storia della Sardegna» a cura di Manlio Brigaglia (1995)- p.213-214
- ^ Don Emanuele Raimondo Pes di Villamarina (1736-1797), dopo aver studiato all'Accademia Reale, divenne elemosiniere di corte nel 1781 (cfr. A. Merlotti, I regi elemosinieri alla corte dei Savoia, re di Sardegna (secc. XVIII-XIX), in La corte en Europa: politica y religion (siglos XVI-XVIII), atti del convegno (Madrid, 13-16 dicembre 2010) a cura di J. Martinez Millan, M. Rivero Rodríguez e G. Versteegen, Madrid, Ediciones Polifemo, 2012, vol. 2, pp. 1025-1057). Suo fratello minore Giovan Battista (1747-1816) nel 1775 fu gentiluomo delle principesse, divenendone primo scudiere nel 1781
- ^ Cfr. E. Genta, Senato e senatori di Piemonte nel secolo XVIII, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1983, pp. 342-343
- ^ Carlo Morandi, VITTORIO AMEDEO II duca di Savoia, re di Sicilia, re di Sardegna, su Enciclopedia Italiana, 1937. URL consultato il 28 dicembre 2014 (archiviato il 28 dicembre 2014).
- ^ A. Cossu, Storia militare di Cagliari. Anatomia di una piazzaforte di prim'ordine, Cagliari, 2001, pp. 117-121; P. Merlin, Il Vicerè del bastione. Filippo Guglielmo Pallavicino di Saint Remy e il governo della Sardegna (1720-1727), Cagliari, Provincia di Cagliari, 2005.
- ^ A. Merlotti, L'enigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento, Firenze, Olschki, 2000.
- ^ Cfr. G. Ricuperati, Lo Stato sabaudo nel Settecento. Dal trionfo delle burocrazie alla crisi dell'antico regime, Torino, Utet, 2001; Id., Gli strumenti dell'assolutismo sabaudo. Segreterie di Stato e Consiglio delle finanze nel XVIII secolo, in Id., Le avventure di uno Stato «ben amministrato». Rappresentazioni e realtà nello spazio sabaudo fra ançien regine e Rivoluzione, Torino, Tirrenia, 1994, pp. 57-134
- ^ Lettera di Giovan Battista Pallavicino di Saint Remy a Pierre Mellaréde de Bettonex, 7 aprile 1723, citata in P. Merlin, Il vicerè del bastione, cit., p. 91.
- ^ Cosa che non mancava di generale contrasti, come quelli che capitavano in occasione del giuramento di fedeltà, quando i rappresentanti delle diverse parti dello Stato si portavano a Torino per giurare fedeltà al nuovo re. I rappresentanti del Marchesato di Saluzzo, per esempio, passato ai Savoia nel 1601, per titolo avrebbero dovuto avere la precedenza rispetto alla contea di Asti. Tuttavia questa era divenuta sabauda nel 1531, settant'anni prima del Marchesato, per cui i rappresentanti della Contea non volevano cedere il passo a quelli del Marchesato.
- ^ B.A.Raviola, Prima del viceregno. Ercole Tommaso Roero di Cortanze, patrizio d'Asti, militare e diplomatico, in Governare un regno, viceré apparati burocratici società sabauda del Settecento, a cura di P. Merlin, Roma, Carocci, 2005, pp. 83-98.
- ^ Su di lui si veda la voce di Bruno Signorelli nel Dizionario biografico degli italiani: http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-falletti_(Dizionario-Biografico)/ Archiviato il 29 dicembre 2014 in Internet Archive.
- ^ Cfr. A. Merlotti, Le quattro vite del marchese di Rivarolo. Fedeltà e servizio nel Piemonte di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, in Governare un regno, cit., pp. 120-156.
- ^ Cfr. M. Testa, Controversie e riforme giurisdizionali nella Sardegna boginiana, Arkadia Editore, Cagliari 2014.
- ^ Cfr. G. Ricuperati, Il riformismo sabaudo e la Sardegna. Appunti per una discussione, «Studi storici», XXVII (1986), pp. 57-92; A. Girgenti, La Storia politica nell'età delle riforme, in M. Guidetti (a cura di), Storia dei sardi e della Sardegna. L'età contemporanea, IV, Milano 1989, pp. 55-112; Ead., Il ministro Bogino e i viceré: un rapporto complesso, in Governare un regno, cit., pp. 233-275;A. Mattone, Istituzioni e riforme nella Sardegna del Settecento, in Dal trono all'albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall'Antico Regime all'età rivoluzionaria, t. I, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1991, pp. 325-419; A. Mattone, P. Sanna, La ‹‹rivoluzione delle idee››: la riforma delle due università sarde e la circolazione della cultura europea (1764-1790), «Rivista storica italiana», CX (1998), n. 3, pp. 834-942; A. Mattone, P. Sanna, Settecento sardo e cultura europea: lumi, società, istituzioni nella crisi dell'Antico regine, Milano, F. Angeli, 2007
- ^ Cfr, F. Francioni, Vespro sardo, Cagliari, 2001
- ^ Vedi G. Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, cit.; F. Francioni, Vespro sardo, cit.
- ^ Cagliari, Palazzo Regio, su sardegnacultura.it. URL consultato il 28 dicembre 2014 (archiviato il 28 dicembre 2014).
- ^ Plebisciti di annessione ai Savoia, su francobampi.it. URL consultato l'8 marzo 2009 (archiviato il 20 febbraio 2009).
- ^ Vedi:Raccolta delle leggi civili e criminali del Regno di Sardegna per ordine di re Carlo Felice (1821).[1] Archiviato il 22 febbraio 2015 in Internet Archive.
- ^ Regio editto sul servizio delle strade. Cagliari Stamperia Reale, 1827, Regio editto sul servizio delle strade.[2] Archiviato il 22 febbraio 2015 in Internet Archive.
- ^ Regio Editto sul censimento della popolazione del Regno, 1823, su sardegnadigitallibrary.it. URL consultato il 30 marzo 2009 (archiviato il 22 febbraio 2015).
- ^ Vedi storia della Sardegna sabauda
- ^ A. La Marmora,Itinerario dell'isola di Sardegna, Torino, 1860; G. Sotgiu, Sardegna sabauda, cit.
- ^ Martini, Pietro. Sull’unione civile della Sardegna colla Liguria, col Piemonte e colla Savoia, Cagliari, Timon, 1847, pp.4
- ^ Testo dello Statuto Albertino
- ^ Facevano ancora eccezione Veneto e Friuli (1866), il Lazio (1870), la Venezia Giulia, l'Istria e il Trentino-Alto Adige (1919)
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Voci correlate
- Bandiera del Regno di Sardegna sabaudo
- Casa Savoia
- Vicerè di Sardegna
- Camillo Benso, conte di Cavour
- Domenico Millelire
- Fusione perfetta del 1847
- Giovanni Maria Angioy
- Giudicato di Arborea
- Guerra di successione spagnola
- Lira sarda
- Stato sardo
- Regno di Sardegna (1324-1720)
- Regno di Sardegna (1720-1861)
- Re di Sardegna
- Presidenti del Consiglio del Regno di Sardegna
- Suddivisione amministrativa del Regno di Sardegna
- Trattato di Anagni
- Proclamazione del Regno d'Italia
- Trattato di Torino (1860)
- Accordi di Plombières
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Collegamenti esterni
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