Alla metà del XVIII secolo una delle questioni più problematiche che la Chiesa si trovava ad affrontare era quella della Compagnia di Gesù. Le monarchie europee avevano cominciato a guardare con sospetto all'operato dei Gesuiti, la cui ingerenza negli affari di stato stava per loro iniziando a divenire intollerabile. Gli ideali dell'Illuminismo cominciavano a venire recepiti dalle corti d'Europa, così come l'assolutismo contribuì a coltivare un clima di ostilità crescente verso lo strapotere politico, culturale ed economico della Compagnia. Sul piano giuridico le nuove politiche giurisdizionaliste degli stati europei miravano a controllare le attività e l'organizzazione ecclesiastica.[1]
Benedetto XIV, il papa colto e "progressista" che aveva tolto numerose opere dall'Indice dei Libri Proibiti, che intratteneva scambi epistolari con scismatici e atei, ortodossi e protestanti dissertando di arte e poesia, aveva perseguito una politica sostanzialmente neutrale nei confronti degli affari delle grandi potenze europee (che al momento della sua morte stavano combattendosi nella Guerra dei sette anni) quasi adoperandosi per una riconciliazione tra Chiesa e modernità nel rispetto delle prerogative dei sovrani. La sua moderazione unita alle sue doti diplomatiche permisero la sopravvivenza della Compagnia presso le monarchie europee, mentre il suo opaco, bigotto e poco energico successore dovette guardare impotente alla cacciata dei gesuiti da quasi tutte le potenze d'Europa.[2]
Papa Benedetto XIV si ammalò gravemente a partire dal 26 aprile 1758, soffrendo di febbre alta che aggravò la sua asma. Nei giorni successivi il suo stato di salute precipitò repentinamente in conseguenza della gotta, che lo affliggeva da febbraio, e che unita a una disfunzione renale lo portarono al decesso, avvenuto il 3 maggio: aveva 83 anni e aveva regnato per 17 anni, 8 mesi e 16 giorni.
Dopo i consueti novendiali, il 15 maggio il decano del Sacro Collegio Raniero d'Elci presiedette la messa del Santo Spirito, mentre monsignor Giovanni Battista Bortoli pronunciò l'Oratio pro pontifice eligendo.
Il 15 maggio, quando il conclave iniziò, solamente ventisette cardinali erano presenti. Entro il 29 giugno ne arrivarono a Roma altri diciotto, portando il quorum necessario all'elezione a 30 voti. Il 4 luglio, tuttavia, il cardinale Girolamo de Bardi dovette abbandonare il conclave per malattia.
A causa dell'assenza dei cardinali rappresentanti delle potenze cattoliche europee, i cosiddetti "cardinali della corona", gli ambasciatori di Francia e del Sacro Romano Impero chiesero ai porporati presenti di ritardare l'inizio del conclave. Poiché questa richiesta venne respinta, nessun candidato degno di nota emerse nei primi scrutini. Alla prima votazione, il 16 maggio 1758, il maggior numero di consensi (8 voti diretti, più 3 di accessus) andarono al cardinale Raniero d'Elci. Tuttavia d'Elci non era la prima scelta di Corsini e della sua fazione, la quale sosteneva Spinelli, così come la sua candidatura non poteva essere seria a causa della sua età, ben 87 anni.
Successivamente, infatti, il cardinale Corsini propose l'elezione di Giuseppe Spinelli, ma trovò l'opposizione di Domenico Orsini. Un candidato con buone possibilità di elezione fu Alberico Archinto, segretario di stato e vicecancelliere del defunto papa. Archinto aveva il sostegno dei conservatori, ma la fazione di Corsini non era d'accordo a sostenerlo. Alla fine, quindi, anche il suo nome venne ritirato.
Nei giorni successivi l'attenzione del conclave si focalizzò su Carlo Alberto Guidobono Cavalchini, il quale ricevette parecchi voti: il 19 giugno ottenne 20 voti, il 21 giugno 26 e il 22 giugno 28, il che significava che era a un solo voto dall'elezione. A quel punto, però, il cardinale Luynes chiese la parola e informò che Luigi XV, avvalendosi dell'antico ius exclusivae, aveva posto il veto proprio contro Cavalchini, ritenuto troppo filogesuita: l'esclusione provocò forti proteste, ma venne rispettata.
L'arrivo del cardinale della coronaFranz Konrad von Rodt, il 29 giugno, con le istruzioni della corte imperiale di Vienna, fu il punto di svolta per il conclave, il quale vide una ridefinizione degli schieramenti e dei relativi candidati sostenuti. La sua lista di 17 cardinali ritenuti accettabili da Vienna conteneva tra gli altri, i nomi di Borghese, Cavalchino, Oddi, Lante e Stopani. Negoziati diretti fra von Rodt e Giuseppe Spinelli portarono alla proposta della candidatura del cardinale Carlo Rezzonico, vescovo di Padova. I cardinali che inizialmente gli si erano opposti alla fine decisero di sostenerlo. Dopo consultazioni fra i porporati e l'ambasciatore francese Laon apparve chiaro che Rezzonico sarebbe stato eletto. Il 4 luglio Rezzonico ricevette 22 voti.
La sera del 6 luglio 1758, il cardinale Carlo Rezzonico ricevette 31 voti, uno in più dei due terzi necessari e risultò canonicamente eletto papa: assunse il nome di Clemente XIII. L'elezione venne annunciata alle 22,45 dalla loggia esterna della Basilica Vaticana dal cardinale protodiacono Alessandro Albani.[3]